Data pubblicazione: martedì 9 marzo 2004
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MATERIALE PASTORALE - MEDITAZIONI
PERDONARE I NEMICI
Ho spesso considerato, con molta ammirazione e piacere, l’estrema premura che Gesù Cristo ha avuto di indurci ad amare i nostri fratelli. Ecco, di un passaggio del Vangelo, ecco quello che vi ordino soprattutto: amatevi gli uni gli altri; e amatevi, se possibile, quanto sapete che io ho amato voi. Sarà questa caratteristica dei miei figli. Esigo che i miei discepoli si distinguano così da tutti gli altri: In hoc cog noscent oomnes quod discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem. Altrove ci dice di non volere che alcuna ragione, sia d’onore, sia di interesse, ci porti a cambiare l’amore in odio; ci ripudia completamente, ci mette al livello dei pagani e degli infedeli se non amiamo i nemici, se non preghiamo per loro,se non facciamo loro del bene. Insomma, sembra che tutto il cristianesimo si riduca a questo solo punto.Ecco il compendio di tutti i comandamenti, ci dice tramite san Paolo: amate il prossimo come voi stessi: chi ama ha compiuto tutti i suoi doveri; l’amore è il compimento della legge: Plenitudo legis dilectio. Dio mio, quanto mi sembra dolce questo comandamento! Quanto mi sembra, per così dire, umano! Quanto mi pare degno della bontà e della saggezza di Dio! Quanto è ragionevole che uomini che hanno una stessa natura, una stessa religione, uno stesso Padre, uomini che devono vivere in società, che sono tutti come compagni di viaggio, che puntano alla stessa mèta per lo stesso cammino, che devono essere eternamente insieme nel cielo, vedersi e amarsi scambievolmente in eterno; quanto è ragionevole, dico, che comincino ad amarsi già da quaggiù e a rendersi gli uni gli altri tutti i servizi che ciascuno sarebbe contento fossero resi a lui stesso! Signore, il vostro zelo per la carità non vi spinge forse oltre i limiti quando ci comandate di abbandonare il culto che dobbiamo al Creatore, per pensare a riconciliarci con i nostri nemici? Il servizio di Dio non deve essere preferito a tutto il resto? L’obbligo che Abbiamo di onorare colui che ci ha formato, non è più urgente che quello di riprendere i contatti con coloro, che forse, non pensano ad altro che a distruggervi? Permettete che compiamo i nostri doveri verso di voi, dal quale abbiamo ricevuto tanti beni; dopo di che non rifiuteremo di mostrarci cortesi con quanti ci fanno del male. No, Gesù Cristo vuole che cominciamo con i nemici e che, dopo, andiamo a offrire il sacrificio: Vade prius riconciliare fratri tuo, et tunc veniens offerse munus tuum. Dio vuole essere onorato prima di tutto, come merita di esserlo, su tutto. Eppure ci ordina che se, disposti a offrirgli un sacrificio, ci ricordiamo di essere in cattivi rapporti con qualcuno dei nostri fratelli, ci ordina, dico, di lasciare la nostra vittima ai piedi dell’altare e di andare a cercare il nostro fratello, per offrirgli la nostra amicizia e chiedergli la sua. Questi due voleri non sono affatto opposti; Dio vuole essere onorato prima di altra ogni cosa vuole che ci riconciliamo, perché niente gli rende tanto onore quanto questa riconciliazione. Vuole che si lasci il sacrificio per andare ad abbracciare un nemico, perché non possiamo fargli sacrificio più gradito che sacrificargli la nostra vendetta e il nostro risentimento. I nemici del Figlio di Dio hanno lavorato alla sua gloria più che i suoi ferventi discepoli: hanno diffuso le sue profezie, con le loro precauzioni hanno anticipato tutti i dubbi che si sarebbero potuti avere sulla sua Risurrezione. La stessa cosa accadrebbe a tutti i cristiani se non volgessero a loro danno, con il loro risentimento e le loro vendette, i progetti dei loro nemici, diciamo meglio, i progetti della Provvidenza: diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. Dopo che abbiamo offeso Dio, Gesù Cristo si è messo tra suo Padre e noi, per trattenere il suo sdegno. Dio per suo riguardo, ci perdonò. Lo stesso Gesù Cristo si mette tra il nostro nemico e noi; noi lo scavalchiamo, lo trapassiamo, per trapassare colui che ci ha offeso. Non è proprio la fatica che sentiamo nell’agire che rende le nostre azioni meritorie. So che esse sono più o meno preziose in proporzione all’amore che ci anima.Di solito capita che i santi danno più gloria a Dio in occupazioni molto blande, o anche prendendosi svaghi innocenti, che non i cristiani ordinari fanno con fatiche molto penose, o con l’eliminazione dei piaceri più legittimi; perché quelli agiscono per il motivo di una carità più perfetta e un più grande desiderio di dare gloria al loro Creatore. Tuttavia ciò non toglie che la difficoltà di un’azione sia una regola molto sicura per giudicare l’eccellenza dell’azione stessa, perché, come solo l’amore può renderci dolci cose estremamente difficili, così solo un grande amore può indurci a intraprenderle. Come non c’è niente di tanto penoso per l’uomo quanto soffocare la brama della vendetta, così non c’è niente che dia tanta gloria a Dio. Il dovere di perdonare è forse una verità che abbia bisogno di prova? Non c’è maggior motivo di temere che molti credano questa vittoria del tutto impossibile, piuttosto che temere che essa appaia facile a qualcuno? Quanti non ci dicono tutti i giorni che non è in loro potere dimenticare le ingiurie loro fatte, che inutilmente si obbligherebbero a farlo, poiché ciò supera le loro forze; che è assolutamente necessario che si vendichino; bisogna, almeno, che si allontanino, che evitino la conversazione e l’incontro con i loro nemici! Noi abbiamo una spaventosa tendenza alla vendetta; la natura ci porta ad essa con tanta violenza che spesso ci toglie la libertà di seguire, e perfino di consultare, la ragione. Da ciò deriva che, no soltanto si dimentica Dio in quegli incontri, ma si dimentica perfino se stessi; si corre alla vendette senza timore, senz’armi, senza precauzione; disprezziamo i più grandi pericoli, o piuttosto non ce ne accorgiamo. Quanta violenza bisogna fare a se stessi per resistere alla violenza della natura! Ci riesce tanto difficile nascondere il risentimento quando l’interesse o l’ambizione, o quando il timore di un più gran male sembrerebbe richiederlo, perfino quando sarebbe necessario per facilitare o per rendere sicura la nostra vendetta! Bisogna compiere sforzi tanto grandi per impedire che la passione scoppi, in azioni o in parole! Per quanta premura abbiamo avuto di calmare il nostro cuore, per quanto tempo sia passato dopo l’offesa, la sola vista della persona che ci ha offeso, o anche il semplice ricordo dell’offesa,talvolta distrugge in un momento l’opera del tempo e della ragione, e risvegli gli impulsi che credevamo spenti. Sentiamo che tutto il sangue si infiamma malgrado noi ; tutte le vene si gonfiano, il cuore moltiplica le sue pulsazioni, la vista s’intorbida, il viso cambia colore, tutto il corpo trema, la mente stessa si confonde e non è più padrone di se stessa. Ecco cosa avviene spesso dopo parecchi anni di quiete, dopo lunghe e frequenti meditazioni! Quando siamo oltraggiati, o quando il ricordo dell’ingiustizia che ci è stata fatta è ancora fresco, è difficile spiegare i moti che la natura suscita, sia nell’anima sia nel corpo. Per parte mia immagino un mare su cui tutti i venti sono scatenati, e che una spaventosa tempesta agita e sconvolge in mille modi: ora s’innalza fino al cielo, ora si apre fino agli abissi; ora è spinto verso la riva con tanto impeto che sembra dover coprire tutto il continente con una sola ondata,poi si ritira con tanta velocità che si crederebbe che cambia letto, o che si ingolfa negli inferi; vedete solo montagne d’acqua che si slanciano fino alle nuvole, che cozzano tra loro, che si frangono con un rumore spaventoso. Fu un grande prodigio quando Gesù Cristo, trovandosi su un mare così agitato e avendo comandato ai venti e ai flutti di calmarsi, di colpo si fece tanta calma che dopo un momento non restò la minima traccia di una tempesta tanto furibonda. Ma, a mio parere, è ancora più prodigioso calmare l’emozione di un cuore irritato da un’ingiuria. Un nemico che ci maltratta solleva tutte le nostre passioni; suscita l’odio con ciò che ci manifesta, la tristezza per il male che causa, la vergogna e il dispetto con il disprezzo che mostra di avere per noi; a queste emozioni si mescola anche la paura, alla vista delle conseguenze fastidiose che l’offesa potrebbe avere, se si lasciasse impunita; il desiderio di respingerla infiamma la collera, l’impotenza di far sì che non sia stata ricevuta, accresce la disperazione. Bisogna che il cristiano che perdona per amore di Gesù Cristo, si arresti di colpo, incateni e sacrifichi a Dio tutte quelle furiose passioni, cosa possibile solo a prezzo di sforzi incredibili. Ancora: rinunciando alla vendetta si sacrifichi l’amore del piacere: che senza dubbio di tutti i piaceri è il più squisito, la cui fruizione lusinga di più la natura. Niente c’è di tanto dolce quanto vedere umiliati quelli che ci odiano, e costretti a pentirsi degli oltraggi che ci hanno fatto. Per questo coloro che si vendicano dei loro nemici non si contentano di recare loro molto male; ma vogliono anche che sappiano da dove viene il male, e come se lo sono procurato, per poter godere del rammarico che questa conoscenza deve loro causare. Questo, dice sant’Agostino, è il rimedio per la piaga che hanno ricevuto, o almeno un calmante meraviglioso per il dolore che essa causa loro. Di modo che un uomo non si vendica quando può farlo, si priva del piacere più grande nella vita: è un malato che soffre per Dio dolori estremi e che rifiuta tutto ciò che potrebbe o dissiparli, o mitigarli. Tutti concedono che l’odio che portiamo ai nostri nemici È un effetto naturale dell’amor proprio; che non possiamo non odiare ciò che è contrario a quanto molto amiamo; e così, per amare quanti ci vogliono del male, dobbiamo smettere di amare noi stessi, bisogna che cambiamo in vero e proprio odio quell’amore tanto tenero e tanto eccessivo che abbiamo per noi stessi. E’ chiaro che amare quelli che infangano la nostra reputazione, significa essere nemici di questa reputazione; che bisogna avere avversione per la propria carne per voler bene a quelli che ci privano delle comodità della vita; in una parola, che bisogna odiare la stessa vita per non voler male a quanti vorrebbero rapircela. La morte è la cosa al mondo alla quale ci adattiamo più penosamente. Il sommo della costanza cristiana sta nel sopportarla volentieri per Gesù Cristo; eppure è ancora più facile morire che perdonare. Ne sono prova cento tipi di combattimenti inventati per soddisfare il desiderio della vendetta, nella quale ci si espone al pericolo certo di perdere la vita per farla perdere al proprio nemico. Prova ne è colui che, per trafiggere il nemico che lo teneva avvinghiato da dietro, si trafisse con la sua stessa spada. Prova ne è il famoso Saprizio che, avendo avuto abbastanza forza per sopportare orribili tormenti per la fede in Gesù Cristo, mentre stava per salire al patibolo per subire il martirio, non riuscì mai a decidersi di perdonare un’ingiuria, benché Niceforo, dal quale l’aveva ricevuta, gli chiedesse perdono con le lacrime agli occhi e non omettesse nulla per persuaderlo. E’ vero che, per punire tanta durezza, Dio strappò a quell’ostinato la corona che aveva già in mano: rinunciò al cristianesimo, e,da martire che era, diventò apostata e idolatra. Ma è certo che avrebbe superato la morte se avesse potuto vincere il suo risentimento; aveva già subito i più duri attacchi della crudeltà; il colpo di spada che doveva porre fine al suo supplizio non gli faceva paura. Ma ci voleva un coraggio più grande del suo per perdonare al suo nemico, benché questi fosse umiliato, quasi accasciato dal pentimento della sua colpa. San Gregorio di Nazianzo, parlando della preghiera che Santo Stefano fece per coloro che lo lapidavano, non esita a dire che, con quella preghiera, il Santo offriva a Dio un sacrificio più grande di quello che allo stesso tempo gli faceva della vita: Maius aliquid morte offerens Deo, nempe animi moderationem et inimicorum dilectonem. Eppure questo grande santo subì una morte crudele e la sopportò con costanza ammirevole, perché non si piegò sotto le pietre con cui lo opprimevano, e restò in piedi fino all’ultimo respiro. Ciò nonostante san Gregorio nota che la sua dolcezza e il suo amore per i suoi carnefici fu una prova del suo coraggio più luminosa e più eroica di quella imbattibile costanza, e che egli meritò di più perdonando la loro inumanità che sopportandoli. Nulla più mi persuade che è difficile perdonare, quanto l’esperienza che mi insegna che non esiste quasi niente di più raro. Il nostro Maestro ha perdonato lui stesso in faccia a tutti, nella maniera più generosa e nelle circostanze più difficili. I suoi apostoli e i suoi primi discepoli si sono segnalati nell’imitare tanto esempio. Eppure chi di noi compie tanto bene questo dovere? Non parlo dei mondani, che si vantano delle loro vendette e che, lungi dall’obbedire al precetto del Vangelo, si comportano verso i loro nemici come se ci fosse un precetto di odiarli a morte. Perfino tra quanti fanno professione di virtù, c’è cosa più rara che vedere chi perdona sinceramente, chi loda quelli che lo criticano,chi prega per quanti lo perseguitano, chi si affretta a servire quanti turbano la sua quiete e in tutti gli incontri gli mettono i bastoni tra le ruote? Vero è che, una volta che ci siamo impegnati nella vita devota, ci guardiamo bene dal dire che vogliamo vendicarci; ma spesso non tralasciamo di farlo, mai mancando di dichiarare che non vogliamo alcun male al nemico. Ma, come se dopo questa precauzione tutto ci fosse permesso, sparliamo di lui in tutto quello che sappiamo, e spesso anche in quello che non sappiamo; esageriamo l’ingiustizia e la violenza del suo comportamento; ci appaghiamo nel far notare i suoi difetti; rievochiamo il ricordo delle sue azioni passate. Voglio che non si dica nulla che non sia vero, e che non sia già di dominio pubblico; cioè che non vi sia né calunnia né maldicenza; ma certamente la carità non può non esserne ferita; si tratta sempre di vendetta. I devoti cercano con cura il loro risentimento con qualche pretesto specioso, di zelo o di giustizia. Ma molto pochi sono quelli che cercano di soffocarlo. I viziosi palesi si vendicano apertamente; i devoti di professione qualche volta si vendicano in modo occulto, senza farsene accorgere, e molto spesso senza che loro stessi se ne accorgano; gli uni ricorrono alle armi e alla violenza per darsi soddisfazione, altri talvolta lo fanno col silenzio e con moderazione. Infine, alcuni che sono i meno propensi al vendicarsi personalmente, spesso sono molto lieti di vedersi vendicati: godiamo nel vedere che uno che voleva farci del male è caduto lui stesso nella trappola che ci stava tendendo; apprendiamo con piacere che la sua condotta viene condannata dalla gente onesta; ci rallegriamo delle disgrazie che gli capitano. Non dico soltanto che comportarsi così non è amare come Gesù Cristo ci ordina; è palese che è un odiare e un volere il male; anzi, dico che è compiere una vera e propria vendetta. La vendetta non consiste nell’uccidere, colpire, spargere sangue; tutte queste cose si possono compiere per un principio di giustizia, e alcune addirittura per un motivo di amore e di carità. Vendicarsi è provare piacere nella sventura di un nemico; è trovare gioia e consolazione in ciò che l’affligge, sia che siamo noi gli autori dei suoi mali, sia che questi vengano da altri. Secondo sant’Agostino: Vindicari non est aliud nisi delectari vel consolari de alieno malo. Ma non è vero che poche persone sono esenti da questi sentimenti, e che è molto difficile difendersene? Talvolta siamo in difficoltà nel trovare i mezzi di esercitare il nostro fervore; invidiamo ai santi le occasioni che hanno avuto di far brillare la loro virtù; rimpiangiamole persecuzione della Chiesa, che sono state tanto favorevoli ai primi fedeli. Vade riconciliare fratri tuo: andate a riconciliarvi con vostro fratello. Andate verso quel nemico che vi perseguita, che vi maltratta; e senza compulsare le regole del mondo, che vi dispenseranno da compiere il primo passo, senza dar retta alla natura che vi sollecita vendetta, convincetelo: con la vostra mitezza, con la vostra facilità nel cedergli su tutto, con ogni genere di arrendevolezza, a desistere dalla sua collera e ad amarvi in Gesù Cristo. Se poi non avete nemici, o se le circostanze sono tali che la prudenza non vi permette di comportarvi così, imponete a voi stessi questa legge indispensabile di vivere con quanti no vi amano, che invidiano la vostra fortuna, o la vostra gloria, che vi disprezzano, che parlano di voi con poca carità e riservatezza; di vivere, dico, con loro come se voi ignoraste tutte queste cose, come se foste persuaso del contrario. Vagliate le loro virtù e le loro buone qualità per poterne parlare nelle conversazioni; cercate le occasioni per rendere loro servizio, e consideratevi fortunati quando ne avrete trovate; eccitate il vostro cuore ad amarli, ad augurare loro il bene, ad affliggervi dei loro mali, rallegrarvi dei loro successi; fateli oggetto delle vostre preghiere; chiedete per loro ciò che credete sia loro più necessario e più utile; rendete mille grazie a Dio per tutti i beni che ha loro dato; infine, che l’amore di Gesù Cristo vi induca a fare per loro tutto quello che l’amore naturale più sincero e più tenero vi farebbe compiere per un amico o un fratello. Ecco come conquistarvi il cuore di Dio, come presto arrivare a una santità molto eminente. Sono buone opere una messa ascoltata, elemosina fatta con un’intenzione molto pura, un servizio reso per carità cristiana; ma un servizio reso a un nemico; un’elemosina data per lui, una messa ascoltata per ottenergli qualche grazia, sono azioni eroiche, capaci di attirare su di noi le più grandi benedizioni.E per difficile che sia, questo mezzo è pur sempre nelle nostri mani e alla portata di ogni genere di persona. Non tutti hanno beni a sufficienza per essere molto generosi con i poveri;; le austerità suppongono la salute, Che Dio non a tutti data; occorre tempo libero, per fare lunghe preghiere, e alcuni sono impegnati in occupazioni che non danno loro questo tempo;ma per perdonare e per amare i nemici, per cercare di accattivarseli, per pregare per loro, per parlarne bene in ogni occasione, per prendere parte a tutto ciò che li riguarda, basta il cuore. Vero è che bisogna averlo grande: i cuori meschini non sanno cos’è perdonare. Nessuna mente creata può comprendere quanto un peccato mortale irriti Dio. La punizione di Adamo e di tutta la sua discendenza condannata a morte per una semplice disubbidienza; Gesù Cristo abbandonato e consegnato al furore degli uomini e dei demoni per essersi reso simile al peccatore, benché fosse del tutto esente dal peccato; infine l’inferno, dove Dio ha precipitato gli angeli per tormentarveli eternamente, insieme agli uomini colpevoli: tutto ciò ci fa comprendere quanto il peccato lo adira contro quelli che lo commettono. Non bisogna meravigliarsene. Non è molto strano che una piccola creatura tratta dal nulla si sollevi contro colui che l’ha plasmata; che un uomo osi prendersela con il suo Dio; che disprezzi questa Maestà infinita; che non tema di offendere l’Onnipotente? Se un motivo c’è di meravigliarsi, è che tolleri con tanta pazienza che tutti i giorni si specchi con incredibile audacia, e che non distrugga con l’uomo tutto l’universo, da lui creato soltanto per l’uso dell’uomo stesso. Ma più sorprendente è che, pur essendo in effetti tanto e tanto giustamente irritato, egli dimentica tutta la sua collera non appena noi stessi abbiamo dimenticato le ingiurie che ci sono state fatte, o che le abbiamo perdonate: Dimittite et dimittebitur vobis. Volete sapere come potete piegare la mia giustizia, dopo aver offeso la mia misericordia? Lasciatevi piegare voi stessi in favore dei vostri nemici; sacrificatemi il vostro risentimento. Con questo solo sacrificio espirete le vostre colpe: Dimittite et dimittetur vobis.
Claudio De La Colombiere s.j., Santo
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