Data pubblicazione: martedì 9 marzo 2004
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MATERIALE PASTORALE - MEDITAZIONI
Quinta meditazione: SULL’INTERA ABNEGAZIONE DELLA PROPRIA VOLONTA’ DI GESU’ SOFFERENTE
Non mea voluntas, sed,tua fiat. <>. (Lc 22,42) Queste parole furono pronunciate da Gesù Cristo nell’orto del Getsemani, poco prima dell’inizio della sua Passione. Ma il sentimento che esse esprimono non l’abbandonerà fino alla morte. Esse ci mostrano la perfetta conformità della sua volontà alla volontà di suo Padre, o piuttosto un’intera abnegazione della propria volontà; che è una virtù, da una parte necessaria alla salvezza, dall’altra tanto eccellente da condurre infallibilmente alla più alta perfezione, da contenere, forse, tutta la perfezione quand’è praticata come Gesù Cristo ce l’ha insegnata col suo esempio. Per ridurre questa meditazione al metodo ordinario, immaginatevi il Salvatore del mondo non soltanto nell’orto, ma anche presso Caifa, nel pretorio, presso Erode, sul Calvario, in tutti i luoghi e in tutti i tormenti che ha sofferto; egli, con una perfetta rassegnazione di cuore e di spirito, dice nel fondo della sua anima queste belle parole: Non mea,sed tua voluntas fiat. Le rivolge a suo Padre, ai suoi giudici, ai suoi carnefici, e a tutti coloro che hanno aggiunto qualche cosa alle sue sofferenze, e rinuncia in tutto alla propria volontà, per seguire quella d’altri. Gesù! Che felicità per me se potessi oggi apprendere da voi questa ammirevole virtù; se, prima di uscire da qui, potessi decidermi a fare un sacrificio intero della mia volontà; se almeno potessi esercitarmi a fare questo sacrificio! Non posso sperare niente se non da voi, o mio amabile Redentore; ma attendo dalla vostra misericordia che, dopo avermi fatto capire le lezioni che mi date, mi concederete le grazie necessarie per mettere in pratica ciò che mi avete insegnato.
I Vi sono due volontà in Gesù Cristo; non soltanto la divina e l’umane, come in tutti gli uomini: una volontà inferiore, che aveva una infinita ripugnanza a soffrire, perché attenta soltanto a ciò che le sofferenze avevano di contrario alla natura; e una superiore, che rilevava in queste stesse sofferenze la volontà di suo Padre, che vi si sottometteva interamente, e che gli faceva pronunciare le parole: Non mea voluntas, sed tua fiat. Questa prima vista causò la lotta; l’agonia dell’orto, lotta la più forte e più violenta che sia mai avvenuta nell’anima di alcun uomo. Consideratelo in questa debolezza. Lo spettacolo vi sorprenderà, ma non è piccolo il vantaggio che poi ne ricaverete. La seconda vista della volontà di suo Padre quietò queste agitazioni, superò questa ripugnanza e fece sì che egli andasse a offrirsi di sua piena volontà ai soldati che lo cercavano. Ma ammirate il potere che questa considerazione esercita il suo spirito. Ha appena sudato, per tre ore, al solo pensiero di quanto deve sopportare; eppure eccolo presentarsi con sangue freddo, una tranquillità e una serenità nel volto che sorprende i suoi nemici e li sconcerta; con una così perfetta libertà di spirito che fa ogni cosa senza agitazione, senza fretta, senza imbarazzo, con tutta la dignità di un Dio, come se fosse un altro a soffrire e alle cui sofferenze egli non prendesse parte alcuna. Si direbbe che il Padre suo l’abbia esaudito, e che in realtà non debba bere il calice di cui si tratta. Perseverò in questa stessa disposizione fino all’ultimo respiro della sua vita. Un rispetto profondo per la volontà di suo Padre: Inde silentium. Un tenero amore per questa stessa volontà: In prompta oboedentia. deNon che la natura non mormorasse, che il corpo fosse insensibile, che non lo sollecitasse a lamentarsi contro la malvagità di coloro che l’accusavano falsamente, contro l’ingiustizia dei Giudei e la crudeltà dei carnefici; ma a tutte queste obiezioni la buona volontà rispondeva a quella ribelle: Calicem quem dedit mihi Pater,, non vis ut bibam illum?. Quomodo implebuntur scripturae, quia sic oportet fieri?. In capite libri scriptum est de me, ut facerem volunntatem tuam; Deus meus volui et legem tuam in medio cordis mei. Legem tuamm, id est,, voluntatem tuam quae mihi est pro lege. Per regnarvi e regolare tutti I suoi movimenti:Jota unum aut unus apex, ecc. Che cosa dite di questa sottomissione? Non è veramente un buon figlio, per il quale la volontà del Padre è legge suprema e può far accettare tutte le disposizioni? Che cosa ne dite, Eterno Padre? Non mi meraviglio affatto dell’amore che gli portate e della compiacenza che avete in lui. Oh, quanto avete ragione di amarlo e di dire: Hic est Filius meus dilectus in quo mihi bene complacui. Ma se l’avete detto sul Tabor, quando faceva la vostra volontà, cosa direste oggi, quando si sottopone a cose tanto difficili, ecc. Volete voi che ci guardiamo in questo specchio, in che cosa assomigliamo a Gesù Cristo? Ma in che cosa abbiamo occasione di imitarlo? Nel rigore delle stagioni, nei mali pubblici, nelle malattie, negli affari; in quanto riguarda i genitori, i figli, gli amici; nelle imperfezioni altrui: Ipse fecit nos, ecc., nelle loro colpe, in quelle dei figli, dei domestici (non irritarsene per il nostro interesse); nelle nostre imprudenze e sciocchezze. Cadiamo, ci feriamo, ci spazientiamo; si parla a sproposito, si dice ciò che non si vorrebbe aver detto: Che tesoro, se volessimo approfittarne ad ogni momento! A quale santità non si giungerebbe in poco tempo! Non è difficile se non nell’applicazione che bisogna porvi . Quanto ciò fa piacere a Dio! Con quale compiacimento egli guarda un’anima così disposta! Negli incidenti imprevisti che possono sorprendere le anime sante non spazientitevi; dite anzi: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum?. E’ Dio che l’ha permesso. Le calamità pubbliche ci rattristano; ci affligiamo per i mali dei nostri amici e dei nostri parenti; quell’incidente mi turba;, mi agita la vista di quel nemico; quell’affronto subito mette a dura prova la mia pazienza. Ma il male non è in questi primi sussulti dell’anima, da cui a malapena i più giusti possono difendersi; lì non c’è ancora peccato; lottare, resistere, tenete duro,, rimproverate a voi stessi,, con un vero sentimento di vergogna e di confusione: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum? E’ Dio che ha permesso questa perdita e quest’afflizione: bisogna sottomettervisi. Così a poco a poco ci abituiamo ai malanni e accumuliamo molti meriti. O Dio mio, se potessimo praticare questo esercizio! E chi ce lo impedirà? Se c’è sofferenza, le dolcezze che l’accompagnano prevalgono sutte le difficoltà che mi conducono all’apice della perfezione. Sono del tutto deciso: lo farò, comincerò oggi. Dunque, ad ogni ora, dopo ogni azione, all’inizio e alla fine della giornata bisogna fare un esame e una preghiera su quanto avverrà e su quanto è avvenuto. Ho mancato nel conformarmi alla volontà di Dio; allora facciamolo; è un po’ tardi, ma, in fin dei conti, niente accadrà a cui non mi sottometta nel momento in cui ci rifletterò. II Gesù non ha rinunciato alla sua volontà per seguire solamente quella del Padre, ma anche quella dei superiori, benché non ne avesse alcuno. Benché fosse il padrone di tutti e che tutti i maestri avessero solo una vana ombra di autorità su di lui, ha voluto sottomettersi perché, di norma ordinaria, i principi, i giudici e quanti hanno autorità possono darci ordini e noi dobbiamo obbedire: Qui potestati resistit, Dei volutati resistit. In questa visuale Gesùù si è interamente sottomesso ai suoi giudici, non ha resistito loro in nulla; per quanto fosse ingiustizia la loro condotta, egli li ha rispettati.. Vieni condannato e, benché si riconosca innocente e benchè tale lo dichiari l’ingiusto giudice, egli si sottomette: Non invento in eo causam… . Corripiam ergo illum et dimittam. Innnocens ego sum a sanguine iusti huius. Enon soltanto si sottomette ai giudici, ma anche ai carnefici, alla colonna,quando dovette caricarsi della croce. Quando dovette esservi inchiodato, con quanta mitezza, quanto docilmente tese le mani. Oh, quanto è bello questo! E’ il Figlio unico dell’Eterno Padre! Oh! Quale piacere provo nel pensare,mentre lo vedo obbedire così, che si tratta del Signore dell’universo, ecc. Si crede che l’obbedienza sia una virtù adatta solo per gli animali, e per gli uomini che loro assomigliano; e io ritengo che essa può essere perfetta solo nelle grandi anime. Ma in ogni caso, 1. Essa è per tutti estremamente vantaggiosa, perché ci esenta da ogni peccato, e perfino dal rendere conto: Ipsi enim invigilant tamquam rationem pro animabus vestris reddituri. 2. E’ quasi l’unico merito, giacchè, nelle cose che facciamo da soli, la volontà propria e l’amor proprio guastano quasi tutto anche nelle cose più sante. 3. Essa rende meritorie le cose più indifferenti, quelle che sono più consone alla natura: mangiare, bere, divertirsi, ecc. In questa considerazione, dite a voi stessi: Oh, quanto sono cieco, io che amo tanto la libertà e che trovo tanto pesante il giogo dell’ubbidienza, che cerco solo di affrancarmi da ogni schiavitù! Oh, che cattivo carattere, incapace di sottomettermi a niente, di accettare qualsiasi costrizione; sempre pronto a mormorare contro tutto ciò che viene comandato! Mille volte fortunate le persone religiose, la cui vita è una continua pratica di questa virtù! Che felicità poter dire che non un solo passo si fa per propria scelta, ecc., essendo tutto ordinato o dalla Regola, o dai superiori. Ma perché non li imitiamo in quanto ci è possibile? Quanto merito avrebbe una donna che volesse adattarsi agli umori e ai voleri del marito per spirito di obbedienza, e che, nelle cose indifferenti, si proponesse di fare solo ciò che egli ordina; e,nelle stesse cose buone, niente contro i suoi ordini, giacchè Dio l’ha a lui sottomessa! Un figlio che si facesse obbediente al padre e alla madre; un domestico al padrone e alla padrona; e al direttore nelle cose della coscienza! Sta il fatto che senza questo nessuna virtù è perfetta, nessuna perseveranza in una virtù anche mediocre; illusioni, turbamenti, inquietudini. Invece, restando sottomesso, non solo non faccio male, ma faccio bene e molto bene; e tanto bene, anche nelle cose più minute, anche senza far niente, da non poter fare niente di meglio. Il direttore può far danno, per mancanza di zelo, di coraggio, di cura, di lumi, per falsa condiscenda; ma per voi, niente di meglio che obbedirgli. Ma non si dispone sempre di un direttore, e non si vuole ricorrere a lui tutti i giorni. Anzi non si deve; sarebbe eccessivo. Ma per supplire a questo, regolate la vostra vita. Lo dicevo poco fa: non è impossibile; bisogna farlo secondo le proprie occupazioni e nella misura in cui esse lo permettono. Quando gli affari impediranno di osservarlo, restate tranquilli; ma, per quanto possibile, occorre andare a letto, alzarsi, mangiare, divertirsi, darsi alla lettura, alla preghiera, ecc.. nei tempi che vi sarete assegnato per ciascuna di queste azioni. E non si dica che è scomodo. Concedo che ciò sia più facile alle donne, che non sono più padrone del loro tempo; ma conosco uomini estremamente occupati negli affari più importanti, che vivono in una regolarità ammirevole. Bisogna esserlo quanto più possibile. Se non tutti i giorni, almeno i giorni in cui si può, per porre tutto a profitto e non sprecare malamente il nostro tempo. Non esito a proporre questi punti di una spiritualità superiore all’ordinario, perché sono persuaso per esperienza che si fa poco affidamento sulla buona volontà degli ascoltatori, e che troppi strisciano a terra, perché non sanno come ci si innalza e credono che le grandi virtù non sono per loro. Se ci fosse una sola anima destinata ad appartenere a Dio, sarei disperato se essa mancasse, per colpa mia, delle necessarie istruzioni. Una volta stabilita una regola e, se volete, il che sarebbe ancora meglio, approvata, non dovete più andare a letto perché spinti dal sonno, né andare a pregare perché vi siete attratti, ecc. Io voglio fare il mio dovere, ne abbia voglia o no. Iota unum aut unus apex non prateribit a lege. Oh, che bella vita! Quant’è ricca, preziosa, santa, quanto è dolce! Quante benedizioni su un’anima che si comporterà così! Solo l’esperienza può farvi capire il frutto di una vita così regolata. Quanto sarà facile renderne conto nell’ora della morte! <>, ecc. E perché non lo facciamo, visto che il frutto è così grande, e che è tanto facile? Dio mio, dateci una vera volontà di appartenervi, poiché è la sola cosa che conta. E’ un’illusione che il demonio ci conia nella mente, quando ci persuade che la santità consiste in non so quale chimera, che non riusciamo a comprendere, o che supera le nostre forze Tutte queste vie sono unite: non c’è bambina tanto ignorante che non possa entrarvi senza difficoltà. Ma questi fantasmi che forgiamo nel nostro spirito sono conseguenze della nostra scarsa buona volontà. Ma chi ce la darà?- Solo Dio lo può. III Gesù Cristo ha spinto l’abnegazione della volontà propria a un grado ancora più alto, che è il grado supremo: ha preferito alla sua volontà quella d’altri, e perfino quella di coloro che non avevano alcuna autorità su di lui, a cui perciò non doveva alcuna obbedienza; s’è sottoposto ai carnefici che lo flagellavano. Dopo i trenta colpi, poteva lamentarsi e opporre alla loro crudeltà la legge, ai soldati che gli bendarono gli occhi, che gli misero la corona. Credete, signori, che nell’intervallo dei dolori al Figlio di Dio non sarebbe stato facile prendersi un po’ di sollievo, essere lasciato solo per conversare con suo Padre? No, bisogna che serva da zimbello alle guardie, che le faccia divertire a sue spese; egli ha per loro questa condiscenda;, preferisce fare la loro volontà, piuttosto che seguire l’inclinazione che l’avrebbe portato a raccogliersi in sé.Ecco significa aver fatto il sacrificio completo, aver annientato la volontà propria, non essersene riservato nulla.Oh, che eccellente sacrificio, mille volte più prezioso, più glorioso verso Dio, che quello del vostro corpo e della vostra vita! O santa volontà, veramente degna di essere la regola di ogni volontà angelica e umana, di essere compiuta in cielo come in terra, e in terra come in cielo! Come posso fare difficoltà a sottomettere la mia, che è tanto cieca, tanto portata al male, giacchè voi avete assoggettato la vostra, che era tanto santa e illuminata? Ma abbiamo noi occasioni d’imitare anche questo apice di perfezione? Lo possiamo in cento occasioni, quando di due cose ugualmente buone o indifferenti, dipende da noi scegliere ciò che ci piace, o seguire il gusto altrui; e in queste occasioni un’anima attenta a piacere a Dio non manca di lasciarne la decisione ad altri e di adattarsi al loro gusto, piuttosto che seguire il proprio. Si può praticare questa virtù con gli eguali e perfino con gli inferiori, quando questo tocca soltanto noi. Se si gioca, sarà un gioco in cui gli altri vorranno divertirsi: sarò accondiscendente. Se si fa una passeggiata, ci si lascerà condurre dove si avrà talvolta meno inclinazione. Così pure per un libro che si deve leggere, per un soggetto della conversazione, per l’abito che si deve indossare, bisogna adattarsi alla volontà altrui ecc. Rispetto a se stessi, quasi non c’è un momento che non si possa regolare con la volontà d’altri. Bisogna sforzarsi, non far conoscere troppo le proprie inclinazioni, non pretendere di dettare legge e mettere a disagio gli altri per soddisfare noi stessi. E non si dica che è sottilizzare troppo, giacchè è soltanto fare per Dio ciò che la cortesia fa praticare alle persone del mondo e ciò che distingue le persone perfettamente per bene da quelle che non sanno ben vivere. Ahimè, Signore, abbiamo tanta premura per gli uomini! Ci lasciamo anche troppo guidare, ahimè, da coloro che ci menano al precipizio; Dio quante anime si perdono per questo, quante buone ispirazioni e santi desideri questa sciagurata compiacenza rende inutili! Voi sapete, Dio mio, quante anime avete perduto per questo, anime che destinavate a essere vostre spose e a glorificarvi con doni straordinari di virtù. Come, dunque, noi saremo forti soltanto per resistervi? Il motivo di farvi piacere renderà ridicolo e impossibile ciò che il motivo di piacere al mondo può giustificare, può rendere e tanto facile e tanto ragionevole? Allora, anima cristiana, come conclusione di questa meditazione, prendiamo la risoluzione di fare oggi il sacrificio della nostra propria volontà. Ammetto che è grande; ma per questo è degno di Dio e delle grandi anime. Nulla è tanto elevato; non si può spingere più in là la perfezione. Ma è anche facile;, e si fa, in parte controvoglia, in parte volentieri, per considerazioni umane, tutto ciò che comporta di più difficile. Ecco da cosa dipende la vostra santità. Bisogna praticare in tutto ciò che vi capita una completa conformità alla volontà di Dio. Bisogna praticare in tutto ciò che fate un’ubbidienza perfetta al superiore, o alla Regola; bisogna praticare in ogni circostanza ragionevole la rinuncia e la sottomissione della vostra volontà a quella altrui. Quante benedizioni cadranno su un’anima che intraprenderà questo esercizio! Quanti favori, quante carezze riceverà da parte del suo buon Maestro! Hic est Filius meus dilectus in quo mihi bene complacui. E’ veramente il mio diletto, al quale ho donato tutta la mia tenerezza. Mi dedicherò a soddisfarlo in tutto; non aspetterò le sue preghiere per accordargli ciò che desidera; addirittura preverrò i suoi desideri, non solo per ciò che lo riguarda, ma anche per ciò che riguarda quanti egli ama; infine lo ricolmerò di beni spirituali e temporali in questa vita, e di beni eterni nell’altra. Amen.
Claudio De La Colombiere s.j., Santo
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