Data pubblicazione: giovedì 20 marzo 2003
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MATERIALE PASTORALE - MEDITAZIONI
SULLA CARITA’ DI GESU’ SOFFERENTE
Commendat autem caritatem suam Deus in nobis, quondam cum adbuc peccatores essemus, secundum tempus Christus pro nobis mortuus est. <>. Non mi meraviglio affatto che la Passione sia stata chiamata un eccesso. Infatti è uno eccesso di carità di Gesù Cristo. Questa virtù gli ha fatto soffrire ciò che non doveva soffrire. Ha sofferto più di quanto era necessario soffrire; ha sofferto per persone per le quali non c’era motivo soffrire.
I
La carità ordinaria ci porta ad avere compassione dei miseri e a soccorrerli. Ho più volte detto che, se i grandi vedessero ciò che soffrono i piccoli, vi sarebbero pochi infelici nel mondo, perché ne sarebbero scossi e sarebbe loro facile sollevare i piccolo dalla miseria. Ma non penso che sarebbero mai arrivati al punto di ridursi loro stessi in miseria per renderli felici. Voi solo, o Gesù, siete stato capace di questo amore eccessivo. Non mi meraviglia affatto che, conoscendo perfettamente la grandezza dei mali che noi avremmo dovuto soffrire per i nostri peccati, voi abbiate voluto liberarcene; che provvedendo quelli dai quali la nostra vita è assediata, voi abbiate voluto mitigarli. Ma che, per questo, voi abbiate voluto soffrire voi stesso, chi mai avrebbe osato, o sperato, o anche auspicato un amore tanto eccessivo? Immaginate di vedere Gesù in qualche punto della Passione che volete, per esempio alla colonna. Il suo amore ve lo ha legato e lo ha posto nel triste stato in cui lo vedete. Perché? Per risparmiarci le pene che abbiamo meritato con i nostri crimini: Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra. La tristezza nell’orto, per le mie false gioie; la flagellazione, per i miei piaceri; la corona di spine, per il mio orgoglio; la croce per le mie impazienze, i chiodi per la mia sregolatezza e la mia disobbedienza. Ipseautem vulneratus est, ecc. Ma perché tante pene, tante fatiche, Salvatore mio? Non porterà ciascuno il suo fardello? Un’eternità di pena è strana; ma perché non sarei io a soffrire quello che voi soffrite? Tu, carnefice, ti sbagli: tu prendi l’innocente al posto del colpevole. Eterno Padre, vi sbagliate anche voi, che ordinate questi supplizi? Non sapete che si tratta di quel Figlio che vi è stato così sottomesso? Oppure è il vostro amore per noi altrettanto eccessivo, quanto quello di questo amorevole Figlio? Egli ha sofferto per addolcirci il calice, per berne la parte più amara, per risparmiarci i mali inevitabili nella vita, per ciò che dobbiamo sopportare nelle tentazioni, nelle afflizioni, nella pratica della virtù, per incoraggiarci col suo esempio, per rendere le afflizioni gloriose, per farci vedere che non sono insopportabili. Christus pro nobis mortuus est, ut sequamini vestigia eius qui peccatum non fecit. E affinché non avessimo motivo di mormorare, se ci conducessero su una strada così dura; affinché non ci lamentassimo dell’esprezza dei nostri mali, vedendo che egli non aveva perdonato suo Figlio: Proprio Filio non pepercit. Questa carità esige la nostra riconoscenza e la nostra imitazione.Dopo averla ammirata, vi meraviglierete innanzitutto della nostra insensibilità, noi che non abbiamo compassione per ciò che Gesù soffre per noi. Se soffrisse per i propri delitti, dovremmo impressionarci per la grandezza dei suoi mali; si piange alla vista di uno scellerato che riceve la giusta ricompensa delle sue azioni. E su un innocente che soffre per noi, restiamo insensibili? Ci diamo ai passatempi nel tempo in cui la chiesa celebra la sua Passione! Al vederci, chi crederebbe che Gesù soffre e che è per noi Che soffre? Dio mio, dacci un cuore di carne. Questa carità postula la nostra imitazione. Esercitiamo la carità verso i nostri fratelli, se non con pari eccesso, almeno in qualche misura. Prima di tutto, con la compassione. Per questo bisogna informarsi. Se ne prendessimo la pena, faremmo un gran bene. Azioni di grazie, sentimenti di umiltà. E’ mio fratello: compassione, consolazione. In secondo luogo, Con l’elemosina: è uno degli obblighi della quaresima; la Chiesa ci fa digiunare proprio a questa intenzione. Non bisogna che la penitenza risparmi per l’avarizia: ciò che si toglie dalla tavola, dall’abbigliamento, dai piaceri, deve essere per i poveri. Sono queste le elemosine gradite al cielo e di cui Gesù Cristo si adorna I poveri che danno nonostante la loro povertà, che condividono ciò che sarebbe loro necessario come la vedova di Sarepta, fanno miracoli, conquistano il cielo. I grandi non possano fare lo stesso, ma possono privarsi dei loro piaceri. Ahimè! Mentre voi perdete con rammarico dieci, venti, trenta scudi, che ne usate dieci o dodici alla commedia, cinquanta per un vestito, vi sono cinquanta famiglie che non hanno pane. Quanta gente onesta che da un mese non ha cambiato biancheria, potrebbe dire che da due mesi non ha gustato carne né pesce! |Voi incontrerete famiglie di otto o dieci persone che non hanno mangiato un tozzo di pane in tutta la giornata. Ahimè! Salvatore mio, è proprio che siete voi a soffrire nei poveri? Se anche voi foste stato insensibile, come saremmo ridotti? Facciamo nostri i sentimenti di questo cuore tenero e generoso; proponiamo di amare i poveri, di togliere qualcosa dei nostri piaceri. Se i ricchi facessero così, tutti potrebbero cibarsi, nessuno mancherebbe di pane, non si getterebbero in prigione persone molto oneste, colpevoli di non avere di che pagare il letto sul quale dormono. Vi sono, infatti, signori, miserie di questo genere: informatevene. E’ vero che vi sono quelli che le nascondano; ma la carità, con un pò di attenzione, scopre tutto; occorre averne un pò. I re magi, sapendo che Gesù Cristo era nato in una stalla, si mossero a cercarlo, si esposero a mille pericoli, a mille fatiche, per potergli offrire doni. Questo stesso Gesù Cristo soffre in luoghi peggiori che le stalle; i vostri cavalli, se mi è permesso di dirlo, stanno senza confronto meglio di lui.
II
Non soltanto egli ha sofferto ciò che non doveva soffrire, ma ha sofferto più di quel che doveva soffrire. Una lacrima poteva lavare tutte le nostre colpe. Una goccia di sangue poteva meritarci tutti i soccorsi. Perché allora tanto sangue? E’ proprio necessario domandare ragioni a chi ama? Egli non può darne altra che il suo amore. Quando si ama si crede sempre che qualsiasi cosa si doni, non sarà mai abbastanza. Era più di quanto occorreva per le nostre necessità, per la giustizia di suo Padre, per l’odio dei suoi carnefici. Quando suda, suda fino al sangue; se versa il sangue, è fino all’ultima goccia. Alla flagellazione riceve più colpi di quanto la legge prescrive, più di quanto può sopportarne senza un prodigio. Non ha più forze, ma vuole portare ancora la croce; non ha più sangue, non più parte del suo corpo senza piaghe, eppure grida ancora: sitio! . Ma non è troppo, adorabile mio Salvatore! Sì, Egli vi risponderà, è troppo per placare mio Padre, troppo per spegnere l’odio dei miei nemici, troppo per cancellare tutti i peccati della terra, troppo per soffocare tutti i fuochi dell’inferno; ma non è abbastanza per scuotere il tuo cuore, per ispirarti il minimo sentimento di rinascenza! E’ bastano per commuovere il mio giudice, i miei carnefici, per far rendere le rocce,ecc. Oh, durezza! Oh insensibilità! E’ vero, tutti questi eccessi non hanno potuto vincere la nostra lentezza e la nostra tiepidezza. Parlo delle anime che temono Dio, ma non l’amano abbastanza; che osservano i comandamenti, ma resistano alle sante ispirazioni; che nutrono grandi desideri, ma ne rinviano la realizzazione. Che cosa aspetti anima mia? Che Gesù faccia qualcosa di più? Ha già portato le cose agli eccessi estremi. Ascoltalo che ti dice: Quid potui facere vineae meae, ecc. Vi ho scossi, illuminati, convinti, ridotti a non poter dirmi altro che non volevate avere compassione di me. Dato che vi trovo sempre a discutere su inezie, a soppesare quanto siete precisamente obbligati, non farete, dunque, mai niente per amore, mai niente per me. Fino a quando vi sentirò dire: non è peccato mortale! Non vi sono Obbligato! E Gesù era forse obbligato a morire per voi? A che cosa non siete obbligato per riconoscere una bontà così grande? Promettiamo oggi di non più conteggiare con Dio, di fare per lui tutto ciò che crederemo potrà piacergli. Vediamo quel che ci chiede di più personale, di lasciare questa vanità, di rinunciare a questo piacere, di praticare questa carità, questa mortificazione. Confrontiamo quanto egli ha fatto per noi: ci vergogneremo di averlo lasciato tanto a lungo ad aspettare per tanto poco; e spero che il nostro cuore si dilaterà e prenderà risoluzioni più generose. III
Il terzo punto e il terzo eccesso: ha sofferto per gente per la quale non era tenuto a soffrire. Quattordici anni di servizio furono per Giacobbe un lungo periodo. Doveva amare molto Rachele: ma Rachele era molto amabile, e non bisogna dubitare che egli ne fosse ben riamato. Immagino questo patriarca in mezzo alle fatiche della sua professione,al caldo, al freddo,sotto la pioggia. Non bisogna dubitare che ciò gli procurò una gran tribolazione; ma nelle ore più buie la vista del suo amore, il ricordo di colei per la quale soffriva sosteneva il suo coraggio e gli dava le forze per perseverare. Ma non è così per Gesù Cristo, che soffriva per gente che era in peccato, suoi nemici: Pro impiis mortuus est, cum adbuc peccatores essemus. In mezzo ai suoi più grandi dolori, voi vi presentate ai suoi occhi. E che cosa vedeva? Ahimè! Voi lo sapete; un cuore freddo, ingrato, affezionato al mondo; disprezzi, disgusti, un’eterna resistenza alle sue volontà; nessuna compiacenza, nessuna gratitudine; un’anima imbrattata di peccati, cioè orribile, più deforme ai suoi occhi che i demoni. Voi non siete più un empio, un libertino, un gaudente, ma vi presentavate a lui in questo stato. Voi non siete tanto vizioso, non siete un oggetto tanto odioso; ma ammettete che egli non vedeva in voi niente che dovesse procurargli grandi slanci! Che oggetto! Come era poco capace di incoraggiarlo! Eppure ecco ciò che ha amato con tanto eccesso! Si dice che l’amore è cieco, che copre i difetti. Se gli oggetti delle più grandi passioni fossero perfettamente conosciuti, le vedremmo ben presto raffreddate. Ma Gesù conosceva i nostri vizi e le nostre miserie, ci conosceva come ci conosciamo noi stessi in certi momenti quando siamo più ragionevoli e ci ritroviamo tanto spiacevoli. Il suo amore ha superato tutto ciò; queste miserie l’hanno incitato ancora di più. Soltanto voi, Dio mio, siete capace di amare in questo modo. Tra gli uomini non si trova niente di simile. Si ama il proprio piacere, il proprio interesse;si amano cose amabili, o almeno credute amabili. Voi amate persone odiose, di cui conoscete i vizi. Come mai mi resta tanto arduo amare i miei nemici? Non hanno niente di amabile per noi. Gesù li ha amati come sono e ci comanda di amarli come sono. Non è abbastanza? Ma voi, divino mio Salvatore, quand’anche voi non foste amabile quanto siete, un amore così grande meriterebbe tutto il mio. Come mai, allora, non vi amo affatto, benché voi siete tanto perfetto, tanto completo, tanto grande, tanto sapiente, tanto saggio, tanto dolce, tanto benefico, tanto fedele, tanto generoso verso gli amici? La ragione (perdonatemi, Signore, se oso dirvelo) è che non mi avete ancora amato abbastanza. E’ possibile aggiungere ancora qualcosa a questi vostri accessi. E’ il vostro stesso amore. So che voi non trovate ancora ostacoli nel mio cuore, un freddo veleno che gli impedisce di prendere fuoco e d’infiammarsi. Mi adoprerò per purificarlo, spezzerò i legami che ho col mondo, con le creature, col denaro, col gioco, con la vanità degli abiti, con la reputazione, con me stesso. E’ forse sorprendente che un cuore tanto ingombro non sia capace di dare spazio al vostro amore, che vuole regnare da solo? Sono sicuro che, quando ve l’offrirò vuoto, non mi rifiuterete di riempirlo col vostro amore, di venire ad abitarci voi stesso, di farne un paradiso terrestre e di disporlo a quella carità perfetta della quale brucerà eternamente con i serafini.
Claudio De La Colombiere s.j., Santo
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