Data pubblicazione: martedì 4 maggio 2004
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MATERIALE PASTORALE - CATECHESI
I PRINCIPALI ASPETTI DELL'ATTIVITA'
a)Far parlare il fanciullo -Al catechismo, i casi sono tre: o parla il catechista solo, come in una predica (forma espositiva); o il catechista interroga e l'alunno risponde (forma interrogativa); o interroga l'alunno e il catechista risponde (forma dialogica). Oppure si adoperano un pò tutte queste tre forme ed allora abbiamo un quarto caso (forma mista). Per i fanciulli è un supplizio sentir parlare gli altri e tacere, a meno che non si tratti di racconti. Essi non sopportano un discorso continuo più lungo di due minuti. Il catechista, quindi, deve usare brevemente la forma espositiva e ricorrere spesso alle interrogazioni e al dialogo. -Le interrogazioni si fanno per vedere se il fanciullo ha capito e ritiene (forma catechistica) o per portarlo piano piano a conoscere un'altra verità (forma socratica). -Le domande fatte ai fanciulli devono essere chiare e semplici, che attendono una risposta sola. Non si dirà: "Chi e quando fondò la Chiesa?": i fanciulli farebbero confusione; ma:"Chi fondò la Chiesa?". E avuta la risposta: "Quando Gesù fondò la Chiesa?"; non troppo facili, perchè finirebbero in farsa, non troppo difficili, perchè scoraggerebbero; varie, per non essere monotoni. Il catechista, farà, di solito, prima la domanda in generale, poi indicherà l'alunno che deve rispondere e non viceversa, se no gli alunni non interrogati non prestano attenzione. Non va bene suggerire all'alunno la prima parola o la prima sillaba della risposta. -Attraverso le domande il catechiste verrà a conoscere la prontezza, l'ingegno, la diligenza dei suoi alunni. Verrà anche a toccare con mano se è stato capace di farsi capire da loro; vedrà che certe parole, che a lui parevano facilissime, non erano state comprese o comprese a rovescio. Sono ormai celebri i casi di quel ragazzo che credeva che la messa fosse chiamata “sacrificio” perché ad ascoltarla si faceva penitenza; di quell’altro che domandò se le “specie” eucaristiche sotto cui sta il Signore fossero il baldacchino; di un terzo che recitò per anni i precetti della Chiesa, senza capire cosa fossero le “nozze” nei tempi proibiti. -Il dialogo del fanciullo con il catechista è una buona cosa: prova che il fanciullo si interessa, rende varia la lezione, esige però nel catechista scienza, abilità e prudenza. Scienza, altrimenti può trovarsi imbarazzato a rispondere a certe domande. Abilità: per tener la disciplina (“far parlare”, non “lasciar parlare”), per non perdere tempo inutilmente, per distinguere a colpo sicuro il birichino che interroga per disturbare e ridere, per sviare le domande, che non hanno nulla a che fare con la lezione. b)Far ritenere -Mosè nel deserto battè col bastone la roccia dura e ne venne acqua refrigerante. Un campanone è muto, silenzioso, finchè non è toccato: percosso dal battaglio, diffonde un suono potente e regale che vola per chilometri. I fiammiferi lasciati soli sono delle piccole cose insignificanti: fregati, diventano sorgente di luce e calore. La roccia, il campanone, il fiammifero sono altrettanto immagini della formula del catechismo. Essa è una cosa arida, muta, insignificante finchè non è spiegata: diventa feconda, parlante, sorgente di luce, se spiegata bene. -Sbaglia, dunque, chi vorrebbe abolire le formule e lo studio a memoria nel catechismo. Certi passi della chimica o del diritto, perché esigono precisione, sono studiate a memoria da studenti di liceo e di università. In religione ci sono delle verità importantissime, delicate e difficili. Che male c’è, se vengono condensate in formule precise e fatte imparare a memoria ai fanciulli? La formula imparata a memoria è come un attaccapanni, al quale restano appese, nonostante il passare degli anni, le cognizioni religiose più importanti. Tanto più che certe verità non servono ai fanciulli per il momento, ma solo nel futuro. Per esempio, le verità sul matrimonio, sull’unzione degli infermi. Ma potranno servire, se non sono ricordate? D’altra parte la memoria è una facoltà da esercitare e far lavorare. -Ma sbaglia anche chi abusa della memoria e fa consistere il catechismo solo nell’imparar formule. Ketteler, l’illustre vescovo di Magonza, definì delitto far imparare ai fanciulli formule che non capiscono. Ed è proprio delitto, perché impone una tattica improba ai fanciulli, lasciandoli nell’ignoranza e dando loro l’idea che il catechismo sia solo un complesso di cose senza senso, difficili e astruse. -In altri tempi, alla formula si facevano seguire queste tappe: 1)formula imparata a memoria;: 2)formula spiegata a senso dal catechista; 3)formula praticata. La via più giusta e naturale è la seguente: 1)formula spiegata bene; 2)formula paragone a memoria; 3)formula praticata. -Il catechista quindi non farà imparare a memoria la formula se non l’ha prima spiegata bene. Oltre che spiegarla, cerchi anche di farla amare, presentandola in una luce simpatica. E cerchi di facilitarne l’apprendimento. Quando, ad esempio, la formula è stata sentita più volte a scuola (recitata dal catechista, letta da un alunno, recitata da tutti) ed è una sola alla volta, i fanciulli restano con l’impressione di saperla già o di poterla imparare facilmente, e la studiano volentieri. C)Dar da vedere agli occhi -Sono occhi che hanno fame e sete di colori e visioni e che si aprono estasiati davanti alle proiezioni luminose, ai cartelloni, alle belle immagini colorate. Quando si fa vedere un quadro, la prima impressione dei fanciulli è stupore: - Oh… - Poi, approvazione: “Com’è bello!”. Poi, vengono commenti e osservazioni: - “La Madonna ha i capelli biondi!...”, “Il sole entra per la finestra!...”. Si nota, però, che i fanciulli restano impressionati soprattutto dai particolari (la coda di un cane, la testa di un cavallo, il berretto di un soldato), al contrario dei grandi che vedono subito l’insieme e trascurano i particolari. -Non basta mostrare i quadri; Bisogna aver l’arte di renderli vivi e parlanti. Non si deve quindi aver fretta e passar via presto, ma quando si mostra un quadro, spiegar tutto: chi sono i personaggi, cosa era successo prima, cosa fanno, cosa stanno dicendo, da quali sentimenti sono animati. E mettere in bocca ai personaggi parole e discorsi, in maniera che i fanciulli abbiano davanti quasi una scena viva e animata. Si può arrivare fino a parlare a nome dei fanciulli al Gesù del quadro o a far parlare i ragazzi con Lui. Usati a questo modo, i quadri o le immagini imprimono fortemente le scene nella fantasia, rendono i fanciulli attenti e interessati, servono molto a destare buoni sentimenti. -Il quadro può essere mostrato fin dall’inizio della lezione, se illustra un concetto; quando ricorda un fatto, si può prima narrare il fatto e poi mostrare il quadro; se si tratta solo di una figura (Crocifisso, Madonna, San Luigi) che serve per edificare, la si mostra al momento dell’applicazione. -La lavagna ha pure molte cose da far “vedere” ai fanciulli: un nome difficile, il quale eccita la curiosità e l’interesse e per di più, visto cogli occhi oltre che udito con le orecchie, sarà ricordato facilmente; un disegnetto, uno schema, un titolo di lezione, che serviranno ad eccitare l’attenzione e a ricordar meglio. b)Dar da “vedere” alla fantasia -“Un ragazzo deve fare un pezzo di strada in discesa, d’inverno. La strada è tutta lucida per il ghiaccio. Il ragazzo ha paura e dice: - Chissà quanti capitomboli dovrò fare prima di arrivare in fondo! – Egli non vuole i capitomboli, e tuttavia prevede che qualcuno ne farà. C’è in lui, fortissima, la volontà di non cadere, ma insieme la previsione che cadrà. L’una non distrugge l’altra. Qualche cosa di simile può accadere a chi va a confessarsi. Egli fa il proposito fermo di non commettere più il tal peccato, ma insieme prevede che ricadrà nel tal peccato. Altro è il proposito, altra la “previsione”. Questo è un paragone. Con esso, a base di somiglianza, il catechista spiega in poche parole un concetto un po’ difficile: che la previsione di commettere peccato non è volontà di peccare. -Gli esempi invece sono casi pratici nei quali si vede applicata la materia insegnata. Eccone uno sull’obbligo di restituire. “Antonio è un contadino. Ha in stalla quattro mucche e porta il latte alla latteria. Ma ogni giorno mette nel latte un po’ d’acqua, perché dice: “Così pesa di più e prendo più soldi”. Fa bene o fa male Antonio? Rispondi tu Ernesto. -Male. -Fa male, commette peccato. Contro quale comandamento fa peccato? -Contro il settimo comandamento: non rubare. -Bravo. E perché fa peccato contro il settimo comandamento? -Perché fa danno agli altri che prendono il latte. -Bene. Ma chi ha recato danno basta che si confessi? -No, deve restituire. -E così, anche Antonio. Non basta che si confessi di aver messo acqua nel latte, ma deve riparare i danni arrecati, restituendo i soldi alla latteria”. -Soprattutto, però, piacciono ai fanciulli i bei racconti. I racconti contengono i pregi sia dei paragoni che degli esempi ed oltre che gettar luce nell’intelligenza, spingono al bene e servono a tener la disciplina nella scuola. I migliori sono sempre i racconti presi dal Vangelo e dalla Storia Sacra. Altri possono essere ricavati dalla vita dei Santi o dalla storia, a patto che siano veri. Talvolta si possono raccontare novelle, fatti verosimili, parabole, ma allora bisogna avvisare i fanciulli che sono cose inventate. -Saper raccontare bene è una delle migliori qualità del catechista. Vi riesce chi si fa piccolo come i fanciulli e si adatta ai loro gusti, facendo vivere e parlare fra di loro i personaggi del racconto, drammatizzando e sceneggiando. Così, per esempio, dovendo raccontare ai fanciulli il fatto del mantello di San Martino, non sarà sufficiente dire: “Un povero domandò un giorno l’elemosina e San Martino: questi, non avendo altro, tagliò con la spada metà del suo mantello e gliela diede”. Al ragazzo questo modo di raccontare non dice nulla: egli è avido di particolari circa il luogo, le parole, i personaggi. Vuol vedere. E allora sarà necessario descrivere ambienti, vestiti, far parlare i personaggi. Così: “Adesso state attenti, perché vi racconto un bel fatto. Era una mattina d’inverno; era caduta la neve e faceva tanto freddo. Per la strada c’era un povero: era scalzo, aveva indosso solo uno straccio, batteva i denti e tremava tutto. Ed ecco venire un soldato a cavallo. Si chiamava Martino. Il povero allora stese la mano che tremava tutta e chiese:”ho tanto freddo, fatemi la carità!”. Martino rispose: “Mi dispiace tanto, ma non ho proprio nulla in questo momento”. Ma poi pensa: “E se gli dessi metà del mio mantello?”. Ferma il cavallo. Chiama il povero e gli dice: “Prendi, tieni un po’ il mio mantello, perché adesso lo taglio e te ne do mezzo”. Tira fuori la spada, taglia il mantello, ecc.”. Narrando, si stia attenti ad usare frasi brevi, parole concrete e chiare, a gettar la luce là dove deve risplendere. Nel racconto precedente la cosa da mettere in vista è la carità, il buon cuore di San Martino. Si supponga che il catechista si soffermi sul cavallo che si avvicina:”…Ma ecco, a un tratto, sulla strada gli zoccoli del cavallo, tròc, tròc…, tròc…tròc, tròc. Il cavallo si avvicina. Lo cavalca un soldato ardito, con la spada al fianco, con l’elmo in testa…”. Tutto ciò interesserebbe molto i ragazzi, ma li entusiasmerebbe per il trotto, per la spada, per l’elmo, facendo passare in secondo ordine l’elemosina e la pietà. -Se vuole “far vedere” la verità che si sta spiegando, il racconto deve apparire strettamente unito alla verità spiegata, parte del catechismo, e non come uno zuccherino staccato, che si dà per fare accettare un cibo o una medicina sgradevole. Non si dica: State attenti che poi vi farò un bel racconto. Vorrebbe dire che il catechismo non è bello. Ciò naturalmente non impedisce che il racconto si tiri fuori quando i fanciulli danno segno di stanchezza o alla fine della lezione. c)Mobilitare mani e piedi -Non sanno ancora scrivere, i fanciulli, e già tengono in mano con passione gessi, pezzi di carbone, matite; riempiono di scarabocchi, omini e sgorbi i muri delle strade, i margini del libro o del giornale che hanno a portata di mano. Ciò dimostra che si esprimono volentieri con il disegno. Questo ha suggerito di far loro esternare col disegno anche i pensieri del catechismo e le loro piccole esperienze religiose. E’ nato a questo modo il “quaderno di religione” o “quaderno attivo”. -Il quaderno attivo fa sì che il fanciullo si applichi al catechismo, come a una cosa bella e sua; - fa imparare a ritenere di più; - fa che a casa si interessino del catechismo il papà, la mamma, le sorelle, i fratelli chiamati dal piccolo in aiuto per il disegno da fare, per l’immagine da scegliere, ecc. Si verifica più di una volta il caso dei “paperi (oche piccole) che menano le oche (grandi…) a bere”, cioè dei figlioletti che fanno un po’ di bene al padre, allo zio che non vanno a sentire la predica in chiesa, ma l’ascoltano tanto volentieri attraverso il quaderno del nipotino o del figlioletto. -Intendiamoci, però: il disegno lo fa chi ha un certo trasporto; i fanciulli che non vi sentono inclinazioni e non hanno attitudini, invece del disegno, scriveranno sul quaderno qualche altra cosa: coloriranno immagini già disegnate in quaderni appositamente preparati, metteranno sotto l’immagine sua, due o tre righe di commento; completeranno frasi dettate dal catechista o già stampate; faranno delle preghiere proprie, dei compiti, dei racconti, ecc. E non importa che i disegni siano rozzi, che i pensieri non siano del tutto esatti grammaticalmente. L’importante che il ragazzo esprima spontaneamente, come meglio sa, sul quaderno i suoi pensieri e sentimenti religiosi. -Non è solo il quaderno che mobilita i fanciulli. Questi si possono far muovere in altre maniere. Per esempio, con giochi catechistici, con scene catechistiche, con visite alla Chiesa, alla sagrestia per vedere o toccare i paramenti sacri, l’altare, la pietra sacra, ecc., o – quando i fanciulli sono invitati a preparare il materiale didattico della lezione – a ritagliare a casa su carta minuscole pianete, stole, a fabbricare un piccolo altare con tutti gli oggetti, un presepio, ecc. f)Lavoro a squadre -Osservate i giochi dei fanciulli sui 9-12 anni: sono molto spesso a base di “bande”, di “tribù”, di “squadre”. Date un’occhiata agli “sport”: tutto va a base di squadre, di gare, di primati, di vittorie e di punteggi. E la gente, ma soprattutto i ragazzi, vi prendono passione enorme. L’egoismo, cioè lo spirito di gara, è oggi molto sentito; perciò si è pensato di portarlo nel catechismo con il “lavoro a squadre”. -Un esempio: Una classe ha 12 ragazzi; si divide e si formano 3 squadre, con 4 ragazzi ciascuna; per ogni squadra si elegge un capo, che deve dirigere, spronare, richiamare gli altri. Si stabilisce un sistema di punti: 1 punto per chi è presente; 1 per chi sa a memoria, 1 per chi sa a senso, 1 per chi ha fatto la pagina attiva, ecc. I punti dei fanciulli si sommano e danno i punti della squadra, che vengono segnati di volta in volta su un grafico. La squadra, che raggiunge prima un determinato numero di punti, è vincitrice. -Si noti: Questo sistema, in generale, è fruttuoso soltanto con fanciulli sui 9-12 anni; - richiede nel catechista pratica, passione, tempo; - fatto funzionare bene, reca parecchi vantaggi: fa lavorare molto i ragazzi, stimola un’emulazione sana (si lavora per la squadra, non per se stessi), educa alla fraternità, rende la scuola animata, serena, abitua i capi a preoccuparsi dei compagni, quindi li avvia all’apostolato, mette i fanciulli a contatto con il catechista, che li può conoscere e istruire meglio. -Perché il lavoro a squadre riesca: i capi siano adatti, ragazzi volitivi, che hanno prestigio sugli altri della squadra; le squadre siano almeno tre, equilibriate nelle forze, ossia quasi eguali per l’intelligenza e l’intraprendenza dei membri; si scelga ad ogni squadra un bel nome di battaglia, un distintivo; per segnare i punti si trovi qualche cosa di immaginoso (giro del mondo, salita alla montagna, colonne che salgono, ecc.); si cerchi che, oltre la squadra, possa avere un premioo anche l’individuo, con primati di frequenza, di buona condotta, ecc. g)Far pregare bene -Se un catechista riesce a fare dei suoi alunni dei cristiani che pregano, ha ottenuto moltissimo. In pratica, però, il caso si verifica di rado: ci sono molti ragazzi e cristiani che “dicono preghiere”, pochi che “pregano”. Due cose deve fare il catechista per rimediare a questo inconveniente: dare ai fanciulli un concetto giusto, ampio, simpatico della preghiera e portarli alla pratica della preghiera. -Ecco alcuni principi da inculcare un po’ alla volta ai fanciulli, affinché abbiano un concetto giusto della preghiera: a)pregare vuol dire parlare con il Signore: o non solo del paradiso, dell’anima, ma di qualunque cosa, proprio “chiacchierare”, come si fa con un amico; si può parlargli del papà, della mamma, del compito, del gioco; e Lui non è lontano, ma è vicinissimo, ci sente ed è tutto contento che noi gli parliamo; b)pregare è facile: non occorre che la preghiera sia lunga, basta anche corta, il Signore non la misura con il metro; non occorre la formula, bastano le parole che piacciono a noi; c)non si prega soltanto in chiesa, ma dappertutto e spesso; per via, a scuola, in casa, durante il gioco, il fanciullo può raccogliersi un momento, salutare Gesù, dirgli grazie, domandargli scusa, senza che nessuno se ne accorga. -Ed ecco alcuni mezzi per la pratica: a)l’esempio del catechista, che prega davanti ai suoi alunni con convinzione, compostezza e serietà; b)dare alla preghiera recitata in comune un tono pio, evitando noiose cantilene, facendo pause giuste; c)variare spesso le formule, il modo e il tempo in cui si recitano le preghiere per togliere la monotonia, l’abitudine, la meccanicità e introdurre la novità, che sorprende sempre gradevolmente i fanciulli. Per esempio: recita solo il catechista, lentamente, sommessamente, ma con parola calda, vibrata, mentre i piccoli seguono in raccoglimento con la mente; recita tutta la classe, ma sottovoce, con belle pause dopo ogni frase; si sostituisce alla preghiera un canto; si fa una preghiera litanica con le intenzioni suggerite dai fanciulli; d)preparare, spiegare la preghiera che si sta per recitare o si recita, sfruttando cose o circostanze che impressionano il fanciullo. Ad esempio: “Il vostro compagno sta male, diremo la preghiera per lui… Oggi è sabato, giorno della Madonna”; e)richiamare spesso il pensiero che Dio ci vede, che è buono, che provvede, che tutto dipende da Lui, in modo che il fanciullo sia un po’ alla volta pervaso dallo Spirito di fede, che gli fa attribuire a Dio gli avvenimenti personali, familiari e sociali o lo fa ricorrere a Lui; f)curare molto l’atteggiamento del fanciullo durante la preghiera: abituarlo a star composto, con le mani giunte; correggere i difetti che ha nel fare il segno della croce (sono più frequenti di quello che si crede); insistere, affinchè a casa si dica in ginocchio le preghiere del mattino e della sera; g)insegnare a trasformare in preghiera le formule del catechismo già capite ed imparate. Sia la formula seguente: “Dell’anima dobbiamo avere la massima cura, perché solo salvando l’anima saremo esternamente felici”. Aggiungendo e cambiando pochissimo abbiamo: “Credo, o Signore, che dell’anima devo avere la massima cura, perché solo salvando l’anima sarò eternamente felice”. Usando questi ed altri mezzi, il fanciullo trova gusto nella preghiera, la pratica con spontaneità, si abitua a farsi le formule da sé, usa la preghiera come mezzo per diventare più buono. h)Condurre alla pratica -Una lezione di catechismo non è fatta bene, se non porta i fanciulli a compiere qualche opera buona. Il fanciullo, quando ha capito una cosa, vuol subito provarla; se è impressionato, è spinto ad agire. D’altra parte, bisogna fargli capire che il catechismo non è imparar a diventar bravi, ma diventar buoni e fare opere buone; non è solo insegnamento, ma vita. -Occorre quindi dare molta importanza alla “buona azione” o “vittoria”, che è suggerita dal testo alla fine di ogni lezione. Il catechista insista, perché la buona azione venga fatta, e nella lezione seguente chieda se è stata fatta. Se il fanciullo vede che il catechista domanda la pagina attiva, la risposta a memoria e dimentica la buona azione, conclude: la buona azione non ha nessuna importanza! -Le buone azioni da suggerire ai fanciulli devono essere ben determinate e adatte. Non basta dire: “Siate buoni”. E neppure:”Cercate di essere obbedienti”. Ma bisogna determinare dove, quando, in che modo devono ubbidire: “Quest’oggi farete senza brontolare quel che la mamma vi ordina, per amore di Gesù”; oppure:”Allora, siamo intesi, stasera prima di andare a letto, chiederete scusa al Signore”, ecc. -Soprattutto però il catechista deve preoccuparsi che i suoi alunni siano avviati alle pratiche religiose e alla frequenza dei sacramenti e adoperare tutta l’influenza, la soave persuasione di cui è capace per far sì che assistano bene in tutti i giorni di festa alla santa messa, che si confessino spesso e bene, che si accostino alla Santa Comunione. A questo scopo deve approfittare anche degli incontri casuali che non ha con i suoi alunni fuori di lezione. Incontrando uno o l’altro per la via, chieda a che punto siano con la pagina attiva, con la “buona azione”, se si sono ricordati della preghiera, ecc.
Giovanni Paolo I, Papa
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