Data pubblicazione: giovedì 20 marzo 2003
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SPIRITUALITÀ - FAVILLE DELLA LAMPADA
Preghiera
I.-Come una freccia d’oro verso il sole, che sfolgorava, con rovenza inaudita, sul maggese. Dal piano pareva ch’ogni stelo s’elevasse in canto, sicchè il cielo, pur tanto lontano,s’avvicinava, per quel canto, alla terra.Ma l’interprete di quella elevazione era l’allodola, che, di volta in volta, s’alzava verso l’azzurrità che circondava il sole, offriva il suo dono di canto - poche note armoniosissime - e ridiscendeva sul maggese. Forse per riportarvi i doni del cielo? - Quando l’allodola canta, l’annata è santa! - mi disse un vecchio massaro, dalla fronte martoriata di rughe, ma dagli occhi semplici di bimbo Risposi: - Amen! II. -Sotto la gronda di una chiesa, posta vicino al mare: io penso al romitaggio di S. Maria, presso Capo Vaticano. Un romito: piccolo, ossuto, sereno; sgranava la corona ravvolto nel saio nero e unto - poi cantava presso l’immagine della Madonna (un’immagine di carta comune) la Salve Regina. Il canto del mare: urlo, sciarbottio, battito, ringhio, pianto,sciacquio: e sinfonia mirifica di toni di colori sotto l’alba, nel meriggio, al tramonto, sotto lo stellato - quando ogni stella parla col mare, filando sul mare la sua luce. Una rondine: il suo era, si e no, un canto; era venuta dalla sponde d’Africa, aveva attraversato il mare, attratta dalla nostalgia di un nido, che avesse il sapore del mare e il raccoglimento d’una grotta italica. Cantava, senza posarsi sulla riva, pur bianca e solitaria, cantava andando nella chiarità di quel meriggio, dal mare alla grotta della chiesa, dove il romito anche lui cantava. Dopo il canto paesano e lungo della Salve Regina, il romito suonò l’Angelus del mezzogiorno; il mare sul batteggio dell’onda proseguiva il suo canto, e la rondine tesseva la sua trina di volo e di note, in quella liturgia meridiana. Il romito - tutti lo chiamavano Fra Serafino - mi disse: dobbiamo pregare quaggiù, come le rondini. Ma allora io non capii cosa volesse dirmi. III. - Questa me la raccontò un prete che veniva in Calabria dalle Alpi; la raccontò a me, che decantavo la bellezza alpestre delle nostre montagne. -Voi non avete l’aquila reale innamorata del sole! S’alza in volo dai nevai, perché abita negli anfratti rupestri delle altezze, dove la neve è perenne, e va verso il sole. Più s’avvicina al sole e più diventa rapido il remeggio delle ali. Poi,con la pupilla fissa nell’astro che l’ha attratta, compie il suo primo giro circolare, e poi l’altro e l’altro sempre più stretti, perché più attratta. I nevai non si vedon più, le nubi sono sparite anche l’azzurrità del cielo è diventata rovente: l’aquila si perde in un bagno di luce. Non canta; vola, perché tutto l’essere è diventato canto - poi non vola più; muore nel sole. Nel tramonto il raggio verde - quando è sereno l’occaso - è segno che un’aquila è morta: quello smeraldo è l’annunzio e il riflesso d’un aquila che, morta di sole, vive nel sole. Risposi: - ma anche noi abbiamo l’aquile-reali innamorate del sole. Esentii nell’anima la tristezza di un desiderio immenso.
Sac. Francesco Mottola OSC
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