Data pubblicazione: martedì 11 maggio 2004
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RUBRICHE - SAGGI DI STORIA CALABRESE
Per la storia del feudo di Soreto
Sorèto : è un nome che nella tradizione locale evoca l’abbandono, o forse meglio l’oblio degli uomini. Per indicare una costruzione rimasta incompiuta si dice infatti che restau cuom’i mur’e Surito, che tradotta sta a significare che rassomiglia ai ruderi del convento di Sorèto. Neanche vale la pena di arrovellarsi il cervello in dissertazioni riguardo all’antichità di Sorèto, perché è un inconscio tentativo di dare vita ad una processione di fantasmi. Si devono tenere ben distinti il titolo del feudo e l’esistenza di un’omonima fiorente cittadina. Sorèto fu un piccolo centro abitato che ebbe vita breve, e pertanto la sua inci-denza nella storia fu limitata se non quasi nulla. Scrisse il regio scrivano in un documento di epoca aragonese, noto come Inventario della terra de Mayeda, e riportabile cronologicamente all’anno 1466, che La mocta predicta, che so’ duj casali nominato Dinami et l’Ammelicuzza, la baglia de li predicti …( 1). In quell’anno quindi, senza alcuna possibilità di dubbio, nel feudo di Sorèto era-no abitati soltanto Dinàmi e Melicuccà ( 2). L’esistenza di Melicuccà lo piccolo, meglio noto come Melicucchello, si riscontra la prima volta in un istrumento del 13 ottobre1562 relativo alla vendita di Sorèto ad An- drea Arduino ( 3). Quel giorno, nel castello di Arena il notaio dichiarò che venivano versati 1.000,00 ducati a saldo per la vendita della t(er)ram Soreti, et Casalia Meli- cucc(a)e lo grande, et lo piccolo, et casale dinami. Manca, come è evidente, un riferi- mento ad un centro abitato di Sorèto ( 4). Notizia preziosa è fornita dal Barrio, religioso francicano che nel 1571 informava es-sere Sorèto sede di un mercato annuale e l’identificava con l’Altano dell’itinerario dell’imperatore romano Antonino Pio che regnò dal 138 al 161 dopo Cristo. Ma nessun documento attesta la continuità tra Altano e Sorèto nei secoli successivi. Nella versione moderna si legge che si sarebbe trovata la cittadella di Soreto, ma lo stesso autore avverte in nota che con quel cittadella è tradotto il greco che vuol dire accumulo, quasi cittadella risultata dall’accumulo di altre cittaduzze, come è lecito congetturare ( 5). Trent’anni dopo, nel 1601, il francescano Girolamo Marafioti di Polìstena chiamò So-rèto un castello e gli assegnò i casali di Dinàmi e di Melicuccà ( 6). Il palazzo del feudatario era eretto in Dinàmi, tanto che nel crollo provocato dal ter-remoto del 5 novembre 1659 per miracolo si salvarono la duchessa ed il nipotino che vi si trovavano per trascorrere la notte ( 7). In Dinàmi era di stanza la corte, e pertanto vi risiedevano ed operavano i funzionari ducali, a riprova che questo paese era il centro dell’attività sia politica che amministrati-va del feudo. La prima descrizione del centro di Sorèto si riscontra nella maggiore fonte ecclesiasti-ca della diocesi, che sono i verbali superstiti delle visite pastorali conservati nell’Archi- vio storico della diocesi di Mileto. Il vescovo Marcantonio Del Tufo visitò la comunità il 21 ottobre1586, ed oltre alla chiesa parrocchiale, dedicata all’Annunziata, ne trovò aperte al culto altre quattro filiali ( 8). Nella chiesa parrocchiale, officiata dai rettori Don Bernardino Mendica e Don Valerio Ierace, sopra l’altare maggiore stava una cona alqua(n)to dorata con l’ imagine della Madonna S(antissi)ma di San Pietro et San Iacono. In una cappella a destra dell’altare maggiore era custodito il Santissimo Sacramento ed era eretta l’omonima confraternita aggregata alla primaria arciconfraternia romana l’anno 1550 ( 9). Il segno dei tempi può essere colto nella raccomandazione del vescovo ai due rettori : tenere l’omelia nei giorni festivi secondo le capacità proprie e del popolo affidato alla loro cura spirituale. Le chiese di San Sebastiano e di San Nicola erano entrambe sedi di confraternite lai- cali. La chiesa di Santa Caterina era pavimentata per metà ed alquanto povera di sacri paramenti e suppellettili. Nella chiesa della Madonna della Catena si celebrava la messa alcuna volta con le of-ferte dei devoti. Sopra l’altare maggiore era un tabernacolo a modo di cappella fatto di legname con quattro colonne di legno nel quale posta una statua della Madonna dorata. I segni delle decadenza si notano dalla relazione della visita pastorale del 28 settembre 1630. Si celebrava solo nell’altare maggiore della chiesa parrocchiale nella quale man-cava il confessionale, e la sagrestia ed il fonte battesimale erano sprovvisti di tutto. Nel frattempo era stato eretto l’altare di San Vito, mancante del necessario, nel quale si ce-lebrava qualche volta con gli oboli dei fedeli. Nelle altre chiese, prive di rendite e per conseguenza anche di oneri, non si celebratala messa (10). Nel corso degli anni le chiese filiali, rimaste nell’abbandono, andarono in rovina. Il vescovo di Mileto, mons. Domenicantonio Bernardini, il 5 giugno 1704 assegnò al par-roco di Sorèto i beni delle distrutte chiese, con l’obbligo di celebrare per i benefattori due messe ogni settimana nella chiesa parrocchiale usando i paramenti di questa. Se ne ha conferma dal verbale della visita pastorale effettuata il 20 maggio 1711, nel quale è annotato che nell’altare maggiore della chiesa parrocchiale si celebravano le dette due messe settimanali ad satisfattionem ecclesiarum dirutarum Ecclesiae Parochiali unita-rum (11). La situazione non era cambiata cinque anni dopo, tanto che il 5 giugno 1716 il visita-tore raccomandò alla devozione dei fedeli la manutenzione della chiesa parrocchiale (12). La fine di Sorèto si avvicinava inesorabilmente, tanto che nel 1741 soltanto quindici famiglie non avevano ancora preso la decisione di allontanarsi dalle proprie case, poste in un’atmosfera diventata regno della malaria (13). Il paese fu ufficialmente dichiarato spopolato il 14 maggio 1755. Quel giorno di pri-mavera, alla presenza di Don Apollinare Grillari, arciprete di Dinàmi in qualità di dele-gato vescovile, di Don Antonino Pascale, parroco di Sorto (14), di altri due sacerdoti e di un benestante del luogo, si procedette per istrumento notarile all’inventario della chiesa parrocchiale (15). Sull’altare maggiore c’era il quadro dell’Annunciazione con l’Eterno Padre, in quello di destra la statua della Madonna della Catena col Bambino in braccio, e sull’altro un quadro vecchio con l’immagine di San Vito (16). Sorge spontaneo domandarsi dove siano andate a finire le tre opere d’arte. La statua è certo quella venerata sotto il titolo del Rosario nella chiesa di Dinàmi. Infatti, tolto lo schiavarello dalla base e sostituitala catena con la corona del Rosario, la nuova devo-zione diventò ben visibile. I due quadri invece, anneriti dal fumo delle candele e delle lampade votive e probabilmente anche bruciati in più parti, contribuirono al ravviva-mento del fuoco sul sagrato della chiesa la mattina di un Sabato Santo del quale s’è per-duto il ricordo. L’avvenuto esodo degli abitanti, e quindi il completo abbandono del paese, è confer-mato da alcuni documenti di poco posteriori al 1755. Infatti già tre anni dopo il sac. An-tonino Pascale, seppur ancora illustrato quale arciprete di Soreto, esercitava il ministero pastorale nella comunità di Mantinèo. Le riparazioni della croce di Sorèto furono ese-guite nel 1766 con la spesa di un carlino pagato dalla cappella di San Francesco di Paola di Dinàmi (17). Rimangono a testimoniare la passata grandezza gli imponenti ruderi del complesso conventuale che si ammirano sulla riva sinistra del fiume Marepòtamo, affluente di sini-stra del Mesìma. La costruzione sarebbe stata iniziata nel 1490 con il proposito del conte Giancola Concublet d’Arena di insediare una comunità agostiniana della congregazione degli Zumpani. Succeduto nel 1500 o nel 1501 al defunto padre Giancola, il conte Gianfran-cesco lo assegnò invece ai Minimi di San Francesco di Paola. E questi lo avrebbero la-sciato nel 1560 per trasferirsi nel loro convento di Borrello eretto cinque anni prima (18). Il subentro dei Minori Conventuali è documentato da una pubblicazione del 1586, nel-la quale è segnalato un convento di Sorèto. Si tratta della Historia Seraficae Religionis edita a Roma appunto nel 1586 a cura del francescano Pietro Ridolfi, detto il Tossigna-no dal paese d’origine (19). Sotto il titolo di Santa Maria de Jesu, frequente nel francescanesimo, il convento fu indicato dal Losapio nel 1605. La comunità era composta da un frate sacerdote e da un fratello laico, in realtà due eremiti che vivevano sperduti in quell’immensa costruzione per non scontentare gli abitanti di Sorèto (20). La data di un avanzato stato dei lavori del convento nel 1505 può essere confermata dal rosone granitico con gli stemmi dei Concublet e dei Carafa, perché signori d’arena all’epoca erano Gianfrancesco Concublet ( 1530) e Laura Carafa che si erano sposati nel 1496 (21). La riserva è d’obbligo, perché il marchese Gianfrancesco junior nel testamento del 4 marzo 1543 lasciò agli eredi l’impegno di traslocare il suo cadavere quando sarà forni-ta la ecclesia de hiesu nazareno in la terra sua de sorito e di seppellirlo dove tene lo pede lo sacerdote sotto l’altare maggiore. Più che ovvia è la conclusione che la chiesa non era stata ancora completata (22). Nonostante queste poche note, la storia di questo convento resta tutta da indagare. Non si trovano riferimenti nei documenti dell’ordine dei Minimi, e nemmeno in quelli dei Conventuali. Negli ultimi anni, prendendo per buona l’errata affermazione del Crocenti, più di un autore ha confuso questo convento con l’altro dei Conventuali di Dinàmi. Questo fu fondato dopo il 1630, perché dal verbale della visita pastorale del 28 settembre del detto anno risulta che la chiesa di Santa Maria della Catena era officiata dal clero secolare (23). La soppressione innocenziana del 1652-53 interessò il convento di Dinàmi, e non quello di Sorèto, nel quale i due religiosi che l’abitavano erano distaccati dalla comuni-tà dei Conventuali di Arena (24). Sorèto, o meglio il ducato di Soreto, ebbe nel passato una sua incidenza nella storia della valle del Marepòtamo. Inizialmente sotto la signoria dei Concublet, passò nel 1562 agli Arduino. Si riunì dopo centotrenta anni, alla fine del ’600 a quella di Arena sotto i Caracciolo (25). Il futuro di Sorèto è già da tempo iniziato, e ne sono testimonianze la chiesa ed il vici-no eremo dove vive un figlio di San Bruno di Colonia che col suo ministero improntato alla mistica certosina restituisce a Sorèto quel ruolo di faro di luce spirituale che fino a tre secoli e mezzo addietro era irradiata per tutta la vallata dai figli del Poverello d’Assi- si. Rimane, come già enunciato, da indagare la storia del convento. Ma del grande com-plesso bisogna pure portare alla luce la struttura, raro esempio di architettura cinquecentesca nel comprensorio, che a stento dai ruderi si riesce ad intravedere. E per realizzare l’obbiettivo è necessario togliere lo spesso strato di sabbia che nel corso di cinque secoli s’è accumulato, anche favorito dall’alveo pianeggiante del fiume Marepò- tamo. Non è possibile pensare che una costruzione di tanta mole sia stata impiantata allo stesso livello di un fiume di quella portata. I terremoti che nel volgere del tempo si ab-batterono sul territorio cambiarono l’orografia e con essa il regime idraulico. La geolo-gia storica può dare una risposta ai molti interrogativi. Inoltre, basta volgere lo sguardo sulle colline dirimpetto al convento all’altra parte del corso d’acqua. Quelle pendici sono forate da grotte scavate nell’arenaria, ora diventate più piccole a causa dell’erosione eolica ed idraulica e dell’insabbiamento provocato dal-le frane e dagli scoscendimenti. Le grotte potrebbero essere state delle laure abitate da-gli anacoreti italo-greci prima che con la latinizzazione messa in atto dai Normanni pas-sassero a vivere nei cenobi appositamente costruiti (26). La presenza di due monasteri greci, detti impropriamente basiliani, nel limitrofo terri-torio di Arena -San Lorenzo vicino a Dasà e San Pietro Spina presso Ciano- conferme-rebbero questa che non è una fantasiosa ipotesi.
1) E. PONTIERI, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 298. 2) Melicuccà è l’Ammelicuzza dell’Inventario citato alla nota precedente. 3) AS VV, not. M. Baccari, istr. 13/10/1562. 4) Il centro abitato di Soreto poteva essere in via di formazione in quel periodo. 5) G. BARRIO, Antichità e luoghi della Calabria (traduzione di E. A. Mancuso), Cosenza 1979, p. 277, n. 6. 6) G. MARAFIOTI, Croniche et antichità di Calabria, Padova 1601, rist. anast. Bo-logna 1981, pp. 119b-120°. 7) G. VALENTE, Storia della Calabria nell’età moderna, Chiaravalle Centrale 1980, vol. 2°, p. 92. 8) ASDM, v. p., vol. 4°, ff. 613-622v. 9) La primaria arciconfraternita del Santissimo Sacramento aveva sede in Roma nella chiesa del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva. 10) ASDM, v. p., vol. 5°, ff. 173-175. 11) ASDM, v. p., vol. 6°, f. 271; cart. Soreto, f. n. n.. 12) ASDM, v. p., vol. 7°, f. 506. 13) G. CROCENTI, La valle del Marepòtamo, Chiaravalle Centrale 1980, p. 123. 14) Il sac. Antonino Pascale era di Badìa, ora frazione di Nicòtera. 15) AS VV, not. M. Grillari, istr. 14/05/1755. 16) ibidem. 17) AS VV, not. A. Teramo, istr. 18/05/1758. Mantinèo ora è frazione di Cessaniti; ASDM, Libro dei conti della cappella di San Francesco di Paola di Dinàmi, f. 40. 18) G. CROCENTI, La valle…, pp. 100-101; V. F. LUZZI, Le ”memorie” di Uriele Maria Napolione, Reggio Calabria1984, p. 200. 19) P. RIDOLFI, Historia Seraficae Religionis, Roma 1586, p. . 20) F. PRINCIPATO, Nella mia Calabria con la fabbrica del tempo, Cosenza s. d., p. 46. 21) G. CROCENTI, La valle…, p. 69. 22) AC Arena, fondo Caracciolo, vol. . 23) ASDM, v. p., vol. 5°, f. 175. 24) G. CROCENTI, La valle…, p. 101; J. MAZZOLENI, Contributo per la storia feudale della Calabria nel sec. XVII, Napoli 19.., pp. 97-98. 25) G. CROCENTI, La valle…, pp. 86 e 260. 26) D. RASCHELLA’, Saggio storico sul monachesimo italo-greco in Calabria, Mes-sina 1925, p. 104.
( Questa relazione è stata presentata al convegno storico culturale ”Soreto ieri e oggi”, Parco Soreto di Dinàmi 14/05/2000)
Antonio Tripodi, Diacono
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