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8 Settembre 2007
Donaci, o Dio, la sapienza del cuore
Omelia programmatica dIngresso in Diocesi Mileto – Cattedrale:
Inizio del Ministero Episcopale 8 settembre 2007
Donaci, o Dio, la sapienza del cuore. Questa invocazione collettiva rivolta al Signore durante il Salmo responsoriale, è illuminante della celebrazione eucaristica che stiamo vivendo ed è di stimolo per l’inizio del mio ministero episcopale, che da stasera diventa operativo per voi e con voi. “Facci dono, Signore, della Tua sapienza perché sappiamo guardare e valutare le cose con e secondo il tuo cuore!” È Dio stesso che oggi, 8 settembre, viene incontro alla nostra piccolezza facendoci dono della sua sapienza e nutrendoci con la sua divina grazia. La sua bontà e misericordia ci permettono di apprezzare e gustare fino in fondo la gioia grande che pervade ognuno di noi. Ed io in particolare, in questo momento, non posso non fare memoria di un altro 8 settembre, quando i miei genitori, oggi in paradiso, mi portarono al fonte battesimale per offrirmi al Signore, inaugurando così per me quel cammino di fede, di luce e di amore che stasera mi ha condotto qui, tra voi, per rendergli ancora grazie per avermi fatto suo figlio, sacerdote ed ora vescovo. È così che non potrà essere mai abbastanza ed esauriente il mio grazie a Lui per i ripetuti doni, che immancabilmente ha riversato e riversa su di me. Ed il mio ringraziamento sincero e devoto non può non andare inoltre al Santo Padre Benedetto XVI per avermi voluto coinvolgere nel collegio apostolico in questa immensa e stupenda missione di paternità spirituale che mi lega sacramentalmente a tutti quanti voi. Ed a voi tutti apro il mio cuore grato per essermi così affettuosamente vicini in questo momento esaltante, ma insieme sconvolgente della mia vita, chiamato dal Signore e dalla Chiesa a lasciare la mia gente di origine per trapiantarmi qui, mia terra promessa, dove il Signore stesso farà scorrere “latte e miele” di fecondità, di amore e di rinnovata speranza. Dico grazie alle pubbliche autorità, al rappresentante della Regione Calabria…, al Presidente della provincia di Vibo Valentia, Dott. Ottavio Bruni, al Sindaco di Mileto Dott. Rocco Condoleo, ai Sindaci di Rossano e di Campana, Prof. Franco Filareto e Dott. Pasquale Manfredi, a tutti i sindaci ed amministrazioni comunali presenti. Un sentito grazie alle altre autorità militari, ai miei fedelissimi della Cattedrale di Rossano e di Campana, mio paese natale, agli amici venuti da ogni dove anche con grossi sacrifici. Perdonatemi se non riesco a nominarvi tutti, ma tutti vi abbraccio e a tutti offro, limitatamente alle competenze, la mia piena collaborazione per il bene del Popolo di Dio che vive in questo territorio, per le persone disagiate ed in particolare per i giovani e i ragazzi alla ricerca di un senso vero da dare alla propria vita, “dal cuore grande - come vi ha invitato ad essere giorni fa a Loreto il Papa Benedetto XVI - pronti a preferire le vie alternative” e ad andare “controcorrente”, senza mai cedere “all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza ed al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere”. Grazie ai “carissimi” sacerdoti, con cui vorrò camminare insieme lungo la strada del Vangelo per discernere ragioni sempre nuove per il servizio ecclesiale a cui il Signore ci chiama. Appartiene al Vescovo “il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo insieme con i presbiteri e i diaconi, sulla via della salvezza”. (Cf. Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II, Pastores gregis, 2003, n. 7) Grazie a Voi, Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi, che a distanza di un mese dalla mia Ordinazione episcopale nella Cattedrale di Rossano, mi onorate nuovamente a Mileto nel momento in cui mi è stato consegnato il Pastorale da S. E. Mons. Domenico Cortese, quasi un testimone da portare con orgoglio e dignità a servizio del Popolo di Dio che vive a Mileto-Nicotera-Tropea. Non posso non ringraziarlo ed abbracciare per la testimonianza di semplicità francescana e di avveduto governo resi nei 28 anni del suo proficuo e multiforme ministero episcopale. Grazie ancora a Mons. Marcianò, che ha voluto accompagnarmi mano nella mano per consegnarmi a voi. Grazie a Mons. Cassone per la sua amorevole paternità, con cui ha illuminato il mio cammino. Grazie a tutti gli altri Confratelli Vescovi per questo ulteriore segno di affetto e di comunione ecclesiale. Ed infinite grazie certamente al Signore per avermi immeritatamente scelto a guida di una comunità ecclesiale ricca di spiritualità, di operosità e di testimonianze significative e stimolanti, da cui trarre motivate ragioni di impegno sociale ed ecclesiale. Penso ai Santi monaci che hanno arricchito questa landa di Calabria - da S. Fantino a S. Leoluca - ai più moderni apostoli della carità e del Vangelo - da D. Francesco Mottola a D. Vincenzo Idà - ai tanti anonimi che con la loro vita santa hanno elevato il tono di tanta laboriosità umana, di tanta sofferta ricerca di autenticità valoriale che ha saputo dire di no con la vita a forme ingiuste di intolleranza civile e sociale. Amare per dare speranza, amare con lo stile di Gesù che cerca la Croce come via unica della speranza: è questa la prospettiva che si apre per ogni uomo di buona volontà, che si sente chiamato e vuole sentirsi chiamare da Dio per esperimentare la forza dell’essere “rigenerati per una speranza viva”, come ha titolato l’Episcopato Italiano la recente Nota Pastorale, conclusiva del Convegno Ecclesiale di Verona dello scorso anno. Mi sento, a questo punto, di fare mio e ripetere quanto Giovanni Paolo II disse ai Calabresi il 5 ottobre 1984 a Lamezia iniziando la sua prima visita in Calabria: “Sono venuto qui per dirvi una parola di fraternità, di incoraggiamento, di speranza. Desidero rivolgere a voi il mio pressante invito ad avere piena consapevolezza delle ricchezze umane e spirituali ricevute in dono e a metterle a frutto. Non tenetele nascoste sotto terra, come il servo neghittoso che il Vangelo rimprovera (cf. Mt. 25, 26ss.). È con queste ricchezze che si costruisce la vera civiltà… Non perdete il senso autentico del bene e del male… Conservate e sviluppate l’immenso valore della famiglia, nucleo della società e struttura portante della civiltà dell’amore… Sostenuti da queste certezze, camminate con animosa speranza verso il domani”. Sarà un domani migliore se sapremo uscire dalla tentazione della rassegnazione senza lasciarci prendere dalla paura. “Molto si può e si deve ancora fare. - continua Giovanni Paolo II - Il vittimismo, il clientelismo e lo spirito di rivalsa da una parte, nonché l’egoismo, lo spirito di sopraffazione ed il disprezzo dei diritti umani altrui, dall’altra, possono e debbono essere gradualmente vinti, come la storia della civiltà cristiana insegna”. (Cf. Discorso di Giovanni Paolo II a conclusione del Pellegrinaggio in Calabria, 6 ottobre 1984). Il futuro è nelle nostre mani. Ognuno per la sua parte: politici, amministratori, industriali, operatori sociali, uomini di Chiesa, uomini della strada. Tutti saremo responsabili - sia pure con tonalità diverse - se il degrado non sarà sconfitto, se dopo oltre un anno, per esempio, permangono gravi i disagi delle popolazioni del Vibonese colpite dall’alluvione del luglio 2006. Chiunque ho incontrato dopo la mia nomina mi ha incoraggiato dandomi del fortunato perché assegnato ad una zona della Calabria culturalmente vivace, turisticamente sviluppata, ricca di storia e di civiltà. Si! Mi sento fortunato di stare con voi per guardare sempre più avanti, senza vivere di rendite e purificando ove necessario le eventuali situazioni d’ombra. Su queste lunghezze d’onda vorremo misurarci senza lasciare nulla di intentato proprio perché la Chiesa come Popolo di Dio non può non incarnarsi nelle situazioni, sporcarsi le mani e portare Cristo Risorto. Ma il senso del mio dire è meglio espresso nel titolo della menzionata Nota Pastorale del dopo- Verona: “Rigenerati per una speranza viva (I Pt. 1,3): testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo”. Questa vuole essere la carta di identità del cristiano del terzo millennio: testimone del grande “sì” (dell’amore incondizionato, cioè) di Dio all’uomo. Si offre a noi questa opportunità e necessità per l’uomo di oggi, per il calabrese di oggi, per il miletese-nicoterese e tropeano di oggi. “La Chiesa - entrando nello specifico - comunica la speranza, che è Cristo, soprattutto attraverso il suo modo di essere e di vivere nel mondo. Per questo è fondamentale curare la qualità dell’esperienza ecclesiale delle nostre comunità, affinché esse sappiano mostrare un volto fraterno, aperto ed accogliente, espressione di una umanità intensa e cordiale. Parla al cuore degli uomini e delle donne una Chiesa che, alla scuola del suo Signore, pronuncia il proprio “sì” a ciò che di bello, di grande e di vero appartiene all’umanità di ogni persona e della storia intera”. (Cf. Rigenerati…, n. 20) È per questo che emerge con chiarezza l’urgenza di un’azione pastorale di stile missionario, “più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria”. (Cf. Ibidem, n. 21) Non vale il “quanto” si fa, ma il “come” si fa. Una pastorale isterica che deve rincorrere celebrazioni di messe non evangelizza e di conseguenza non costruisce speranza. Occorre, oggi più che mai, nella nostra società in trasformazione permanente, aprire un “cantiere di rinnovamento pastorale” che abbia come prospettive di lavoro e di impegno “la centralità della persona e della vita”, “la qualità delle relazioni all’interno delle comunità” con a capo i presbiteri, “la corresponsabilità missionaria e pastorale” (Ibidem) Mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Ciò significa anche “chiedere alle strutture ecclesiali di ripensarsi in vista di un maggiore coordinamento in modo da far emergere le radici profonde (e vere) della vita ecclesiale, lo stile evangelico, le ragioni dell’impegno nel e per il territorio” (n. 22). Non si ama e non si costruisce speranza se ci si limita a denunciare senza poi rimuovere gli ostacoli. Per esempio, aiuta l’unità ed il coordinamento pastorale la molteplicità satellitare delle parrocchie in cui è suddivisa la diocesi? Qui saremo insieme a verificare la validità della risposta. Mi sembra di poter suggerire come prospettiva di una pastorale “integrata” nel e col territorio le tre parole (le tre “C”) risuonate nel Convegno di Verona come una triade indivisibile: la comunione, la corresponsabilità e la collaborazione. Esse delineano il volto di comunità cristiane che procedono insieme, con uno stile che valorizza ogni risorsa e ogni sensibilità in un clima di fraternità e di dialogo, di franchezza nello scambio e di mitezza nella ricerca di ciò che corrisponde al bene della comunità intera”. (Cf. Rigenerati…, n. 23) Perché tante insoddisfazioni nei rapporti vescovi-sacerdoti-laici e viceversa? Perché - come ho sentito da molti di voi - tante “baronie” che creano frattura e mortificano la dignità di ciascuno e dello stesso territorio diocesano? Discernere le risposte giuste ricuperando il coraggio e la gioia del camminare insieme: anche questa è speranza teologica ed antropologica. Ma torniamo alla prima delle tre “c”: La comunione: “sta nel cuore dell’autocoscienza della Chiesa”. (Cf. Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, 2004, n. 7). Nel nostro contesto sociale frammentato e disperso la comunità cristiana non può non avvertire “come proprio compito anche quello di contribuire - ognuno per la sua parte - a generare stili di incontro e di comunicazione, … a non sacrificare la qualità del rapporto personale all’efficienza dei programmi, a promuovere relazioni mature, capaci di ascolto e di reciprocità”. (Cf. Rigenerati…, n. 23). Anche le relazioni tra le diverse vocazioni (sacerdoti, religiosi, religiose, laiche e laici consacrati, laici impegnati nel mondo, ecc.) devono rigenerarsi nella capacità “di stimarsi a vicenda”, nell’impegno “da parte dei pastori ad ascoltare i laici valorizzandone le competenze e rispettandone le opinioni”; da parte dei laici “nell’accogliere con animo filiale l’insegnamento dei pastori come segno della sollecitudine con cui la Chiesa si fa vicina ed orienta il cammino”. (cf. Ibidem). Lo stile di comunione, accolto come dono di Dio, costituisce “un tirocinio perché lo spirito di unità raggiunga i luoghi della vita ordinaria dell’uomo e, soprattutto attraverso i laici cristiani, contribuisce a rigenerarne il tessuto sociale. E questo è amore che costruisce l’attesa speranza anche di questa parte meravigliosa della Calabria. La corresponsabilità: è conseguenza logica della comunione. Anzi di essa è esperienza concreta e gestuale. Non è possibile più l’atteggiamento “dell’armiamoci e partite”: ognuno al contrario è chiamato a condividere le scelte che riguardano tutti, soprattutto se ponderate, maturate e condivise negli organismi di partecipazione ecclesiale, deputati a questo discernimento comunitario. La partecipazione corale ed organica di tutti i membri del Popolo di Dio non è solo un obiettivo, ma la via per raggiungere la meta” (Cf. Rigenerati …, n. 24) E se oggi, un po’ dovunque, questi organismi non stanno vivendo una stagione felice, il senso della corresponsabilità comunionale impone a tutti di ricuperarne il valore e la missione. La collaborazione: scatta come fattore necessario, urgente e coinvolgente perché ci troviamo davanti ad un “disegno complessivo” imposto da una pastorale missionaria, sempre più integrata nel territorio e tra le comunità. Oggi non è più il tempo degli “orticelli di campanile”. Le stesse parrocchie (ed ovviamente i rispettivi parroci) non possono operare con stile autonomista. “Siamo chiamati a verificare il rapporto tra le parrocchie tra loro e con la diocesi, le forme con cui viene promosso ed accolto il dono della vita consacrata, la valorizzazione delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali” (Cf. Rigenerati …., n. 25). Una Chiesa viva si fa creativa e profetica senza chiudersi nel “si è fatto sempre così”, come se fosse un Museo di vecchio stampo dove venivano immagazzinate e custodite “cose” morte del passato. La Chiesa è fresca forza dello Spirito, che non può restare “incartapecorita”, ma che al contrario annuncia il Vangelo di Gesù Cristo, testimoniandone la Resurrezione. Risorgere è amare, è sacrificarsi, è acquisire uno stile credibile di vita “capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini di oggi”. (Cf. CEI, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, 2005, n. 1) L’ottica della comunione-corresponsabilità-collaborazione permetterà senz’altro di guardare al nostro futuro con occhio diverso e soprattutto darà alle nuove generazioni gli stimoli per uscire dalla morsa dell’indifferenza, dell’illegalità, dell’apatia, del vittimismo. Risuonano ancora forti le parole di Giovanni Paolo II ai giovani calabresi in quel 6 ottobre 1984 a Reggio Calabria: “Carissimi giovani, accogliete questo messaggio: è Cristo la nostra speranza… La fede in Cristo, che ha sconfitto la morte ed il peccato, ci fa comprendere il vero senso della vita come prezioso dono di Dio, che vale la pena vivere per costruire un mondo migliore dove regni l’amore, la giustizia e la pace. Tutto questo è possibile anche per la vostra (nostra) terra, se voi giovani calabresi saprete fare di questi valori un ideale di vita e, soprattutto, se vi impegnerete a testimoniarli con la generosità e con l’entusiasmo della vostra gioventù”. I giovani di 23 anni fa, quando Giovanni Paolo II lanciava questo messaggio, siamo oggi noi che occupiamo posti di varia responsabilità: siamo soddisfatti del nostro operato, o abbiamo qualche scrupolo? Qualche scrupolo dobbiamo proprio averlo, per cui ora non ci resta che smuoverci e smontare i nostri idoli per dare a noi e agli altri maggiori concreti motivi di speranza e stimoli di entusiasmo. Quali dovranno essere allora le note caratterizzanti della presenza della Chiesa qui, nel nostro territorio, in questa ora del tempo che ci viene dato? Su 4 indicazioni in particolare vorrei soffermarmi come strategia per rispondere alle tante sfide che oggi ci vengono lanciate: - Guardare con simpatia il mondo come luogo dell’annuncio della speranza che salva. Senza confronto e senza dialogo rispettoso non si arriva da nessuna parte. Se non si ama non si cerca di creare rapporti e relazioni positive e costruttive; - Agire come Chiesa, cioè come popolo di Dio corresponsabile e missionario. Una Chiesa ministeriale, dunque, in cui ognuno svolge la propria mansione: vescovo – sacerdoti – laici in unità di intenti e di prospettive. Come scrive S. Ignazio di Antiochia, “Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero. Ci sono alcuni che hanno si il nome del vescovo sulle labbra, ma poi fanno tutto senza di lui. Mi pare che costoro non agiscono con retta coscienza”. (Cf. S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Cristiani di Magnesia). Quando gli itinerari associativi delle aggregazioni laicali prescindono,per esempio, dal progetto formativo di una diocesi e della Chiesa e non cercano e non creano comunione, non si può dire che diano un’autentica testimonianza cristiana o che costruiscano speranza. Sarà opportuno, magari, avviare nuove interessanti esperienze di organismi di coordinamento del laicato intorno e a sostegno di obiettivi comuni e specifici. (Cf. Rigenerati…, n. 27) I carismi dei movimenti ecclesiali devono lasciarsi interpellare e sapersi integrare ed incarnare nel mondo e nel tempo nuovo della storia. - Dovrà essere il tempo dei laici di sana e robusta costituzione, umana e spirituale, per essere protagonisti nella cultura di oggi che non tollera improvvisazioni e ruoli approssimativi (questo vale anche per i sacerdoti, spesso poco professionali, burocrati del sacro e, peggio, disamorati della propria missione). Si richiederà una cura più sentita e meditata della catechesi, della formazione permanente, dei cammini aggregativi laicali. - Ripartire con la forza del Vangelo e quindi con la consapevolezza che questo tempo di forte transizione culturale, in cui sono in espansione il fenomeno pervasivo del relativismo morale e del laicismo sfrontato solo la saldezza nella fede e la ferma volontà di lasciarsi condurre dallo Spirito potranno dare risposte alle sfide e ragione all’amore che radica la speranza. È su questo che la Chiesa in generale e la nostra in particolare dovranno giocarsi la credibilità fin da ora. “Datemi un punto di appoggio e solleverò la terra”, diceva Archimede sicuro della forza della leva. Questo punto d’appoggio, in grado di cambiare la storia, per il cristiano è l’amore. Il dovere dell’amore, l’officium amoris, è costituzionalmente prerogativa del pastore, del vescovo, ma lo è di riflesso di ogni cristiano, a cui il Signore Gesù l’ha lasciato come nota caratterizzante solo per il fatto di essere suo discepolo: “da questo vi riconosceranno come miei discepoli, se vi amerete tra di voi”. L’amore, “la carità - come scrive Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est - non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale (una specie di “protesi” di sostegno, n.d.r.) che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è l’espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”. (n. 25) Quale conclusione più appropriata per questa omelia programmatica, in cui ho voluto riprendere ed avere come riferimento profondo il motto del mio stemma “In caritate spes!”! Senza amore non c’è speranza e senza speranza non c’è amore. La radice dell’amore e della speranza è Gesù morto e risorto. Ecco perché, riprendendo come conclusione nuovamente il titolo della Nota Pastorale della CEI del dopo Verona, esorto me e voi dicendo: “Rigenerati per una speranza viva”, sappiamo e vogliamo essere “Testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo”. Ci accompagni sempre l’amore benedicente di Dio-Trinità e la materna protezione di Maria, che ho lasciato a Rossano come SS. Achiropita e che ho ritrovato con la stessa tenerezza e fascino come Madonna di Romania” qui a Mileto-Nicotera-Tropea: anch’essa quindi come Odigitria, Madre di Dio affettuosa che indica la strada, la strada dell’amore silenzioso, che non bada agli ostacoli e che anzi li supera con la sua forza intrinseca e con la sua volontà determinata. E mi piace concludere con la stessa invocazione del Salmo 89, con cui siamo partiti: Insegnaci Signore a contare i nostri giorni ed acquisteremo la sapienza del cuore. Amen.
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