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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI  

Data inserimento: 10/10/2005
RENDETE DUNQUE A CESARE QUELLO CHE È DI CESARE E A DIO QUELLO CHE È DI DIO (XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO)


E’ un Gesù scomodo, questo che incontriamo in un episodio, che ha riscontro anche in Marco ( 12,13-37 ) e Luca ( 20,20-44 ). Egli, in occasione di dispute e controversie, aveva messo a tacere persone che contavano; nei suoi discorsi faceva proposte nuove, talvolta sconvolgenti; aveva il suo gruppo di fedelissimi: i discepoli e le folle accorrevano per ascoltarlo. Il suo messaggio e la sua stessa persona non erano graditi ai ’capi’; il giovane rabbi di Nazareth costituiva un’insidia al potere, specie a quello spirituale del tempo.
La situazione politica giocava a favore di farisei ed erodiani ed ecco quell’ambiguo approccio e quel falso interrogare, con parole di adulazione che trasudano malizia :<...sappiamo che sei veritiero...insegni la via di Dio...non guardi in faccia a nessuno..dicci dunque: è lecito o non è lecito pagare il tributo a Cesare?>
Gesù risponde a partire dalla moneta che gli viene presentata, ma sostituisce l’esser lecito con un imperativo < date > o < rendete >
C’è in gioco un " dovuto", si tratta perciò di un atto di giustizia.
L’immagine di ’Cesare’ è un simbolo, allora come oggi; come sempre la convivenza umana ha bisogno delle istituzioni, siano esse politiche, sociali, economiche, religiose le quali regolano e tutelano la vita civile.
Non è lecito prevaricare e non è giusto disattendere queste realtà, e ciò tanto meno ai cristiani. Ogni realtà temporale, ogni assetto politico, sociale ed economico, non è mai definitivo e perfetto; può e deve esser migliorato e potenziato a vantaggio dell’ uomo, esige impegno, intelligenza, senso della legalità e correttezza morale.
E’ un fatto di giustizia.
C’è, tuttavia una giustizia più profonda e radicale che Gesù indica in quelle parole < rendete a Dio quel che è di Dio >
Nell’ episodio in questione, il Maestro si sofferma su un’immagine e un’ iscrizione, sono quelle della moneta corrente in quel tempo, ma il discorso vuole andare oltre, quando Egli chiama in causa il ’dovuto’ a Dio, al quale appartiene ogni cosa creata e, in modo tutto speciale l’uomo, che ha inscritta in sé l’immagine del suo Creatore e Padre.
E’ un richiamo che si legge tra le righe, un richiamo forte che solo Cristo può fare, perché in Lui come ricorda Paolo: " Dio si è fatto visibile " ( Col.1,15 ): soltanto il Figlio è immagine perfetta del Padre e, soltanto Lui con l’incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione, ha ridato all’uomo l’identità perduta, quell’immagine divina offuscata dalla colpa.
Rendere a Dio quel che gli appartiene, significa quindi vivere la realtà profonda di grazia che è inscritta in ogni uomo; significa vivere con impegno, gratitudine e amore il rapporto filiale col Padre; significa rendere sempre più vera e chiara, leggibile anche dagli altri, la somiglianza col Figlio Gesù che, a prezzo del suo sangue, ci ha riscattati. Rendere a Dio quel che è di Dio, esige anche, per chi appartiene a Cristo, dare un testimonianza credibile.
E’ questo l’impegno fondamentale del credente, la giustizia più alta che non è però disgiunta da quella sociale, civile e politica che riguarda le realtà temporali, anzi, ne è valido fondamento e garanzia, pur nella giusta autonomia e distinzione di campi. Si tratta di una giusta complementarità, che vuol rendere visibile Dio nella storia perché essa sia più umana.
" Splendete come astri nel mondo tenendo alta la parola di vita " ( Fil, 2,15 ) esorta l’ Apostolo.
Vivendo a pieno entrambe le dimensioni, quella dello spirito e quella temporale, il cristiano può scrivere una Storia nuova animata dalla civiltà dell’amore; una storia in cui alle grida di guerra si sostituiscano ’canti’ di pace. E’ l’auspicio che leggiamo nel Salmo 95 che la Liturgia oggi propone:


Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra.
In mezzo ai popoli narrate la sua gloria,
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi. ( 95 )

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Giovanni Paolo II

"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
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Nell'ora della morte difenderò come Mia gloria ogni anima che reciterà questa coroncina, oppure altri la reciteranno vicino ad un agonizzante, ed otterranno per l'agonizzante lo stesso perdono. Quando vicino ad un agonizzante viene recitata questa coroncina, si placa l'ira di Dio e l'imperscrutabile Misericordia avvolge l'anima e si commuovono le viscere della Mia Misericordia, per la dolorosa Passione di Mio Figlio.
 


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