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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI
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Data inserimento: 28/05/2005 GESÙ, IL PANE VENUTO DAL CIELO
Gv 6, 51-58 In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: “ Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
Nelle domeniche di Quaresima, con i due brani evangelicí della Samaritana e del cieco nato, la liturgia ci presentò due grandi segni: l'acqua e la luce; l'uno simbolo del Battesimo ' l'altra della fede. Oggi, festa del Corpus Domini, ci parla dell'Eucaristia con un altro grande segno: quello del pane. E' Gesú stesso che ha fatto questa scelta. Quante volte incontriamo nel Vangelo questa realtà del pane! Passando tra le messi di grano in primavera, Gesú scorge in esse le generazioni di uomíni che aspettano gli operai del Regno: « La messe è molta, ma gli operai sono pochi ». Due volte moltiplica il pane per le folle; parla delle briciole di pane che cadono dalla mensa del ricco senza giungere alla bocca del povero Lazzaro; parla del pane abbondante nella casa paterna che torna in mente al figlio prodigo andato lontano e fa nascere in lui la nostalgia del Padre; la Chiesa è paragonata alla madia piena di farina che attende di sollevarsi per la forza del lievito. Infine, Gesú parla di se stesso come del chicco di frumento che deve morire. Perché tanta predilezione per questa creatura? Gesú voleva forse preparare gli uomini a riconoscerlo un giorno nel pane della sua Eucaristia. E' come se egli, durante i suoi ultimi anni, venisse indorando con amore la písside che doveva contenere il suo corpo.
San Giovanni, in ogni caso, mostra di aver capito cosí il pensiero di Gesú: Gesú aveva moltiplicato il pane per parlare, 'di lí a poco, di un altro pane. E' il discorso di Cafarnao di cui abbiamo ascoltato oggi un brano: « lo sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ». Il pane è dunque Cristo: tutto Cristo, la sua parola e la sua carne, cioè il suo Spirito non meno che il suo corpo. Tutto ciò si realizza nella maniera piú forte nel sacramento eucaristico, quando il pane che noi abbiamo offerto come frutto ed espressione del nostro lavoro, cioè come segno dell'offerta di noi stessi a Dio, viene consacrato e restituito a noi come segno del dono di Cristo alla sua Chiesa. Tutto ciò si svolge nel segno, ma è realtà; perché la realtà stessa esistenziale ed ontologica del pane - ciò che esso è e ciò che esso significa per noi - è trasformata nel corpo di Cristo. Si ha cosí - per usare un istante solo il linguaggio tecnico della teologia - una transustanziazione mediante una transignificazione.
Se è cosí importante questa dimensione di segno che il pane possiede, è. giusto allora che ricerchiamo di che cosa è segno tra noi il pane, per scoprire di che cosa diviene segno dopo l'invocazione su di esso dello Spirito Santo e dopo la sua consacrazione. Il primo segno è questo: il pane è cibo, nutre e dà la vita. Ed ecco allora il significato eucaristico di questo pane: « La mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda ... ; colui che mangia di me vivrà per me ... ; vivrà in eterno». L'Eucaristia è il «cibo dei viatori», cioè di quelli che, come gli ebrei, attraversano « il deserto grande e spaventoso » di questa vita (prima lettura). L'effetto dell'Eucaristia è di farci diventare ciò che mangiamo (san Leone Magno). Con ben diverso significato noi cristiani ripetiamo quel detto del filosofo materialista: « L'uomo è ciò che mangia » (Feuerbach), Infatti, non siamo noi che assimiliamo quel pane a noi, è esso che assimila noi a sé e ci fa membra vive del corpo di Cristo.
Ma c'è un altro significato non meno importante. Per il modo con cui viene mangiato, il pane è segno di comunione. Paolo ce lo ha ricordato nella seconda lettura: « Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo »; in altre parole'5 noi entriamo in comunione con lui e tra di noi. Questo secondo segno era piú eloquente in altri tempi, quando, di fronte alla famiglia riunita intorno alla mensa, il padre spezzava l'unico pane e ne dava a tutti; quando, cioè, non si conosceva, come oggi, l'uso dei panini o l'uso di mangiare a tavole separate. Quale segno di comunione si aveva allora! Un solo pane diventava carne e sangue, cioè parte integrante della vita di ciascuno dei presenti; un vincolo profondo, sostanziale, di unità si calava tra tutti i presenti. Questo segno del banchetto è vitale per l'Eucaristia; esso deve risplendere sempre piú chiaramente nelle nostre assemblee e indurci a ricuperare al piú presto una parte essenziale di esso ingiustamente abbandonata: la comunione nel sangue di Cristo. Il mio sangue « ' e vera bevanda », ha detto Gesú e senza bevanda non c'è il segno completo e vero del banchetto. Ridare al popolo cristiano ciò che gli spetta per volontà e istituzione di Cristo, una volta che sono cadute le ragioni contingenti per cui gli fu sottratto, è dovere non píú prorogabile da parte della Chiesa. Il pane segno di nutrimento e di comunione: da qui trarremo oggi motivo per la nostra fede e per la nostra festa. Ma anche per il nostro impegno personale. « Se molti tra voi sono ammalati e infermi - diceva Paolo ai Corinti - è perché ci si accosta all'Eucaristia senza riconoscere il corpo del Signore » (cf. 1 Cor. 11, 29-30). Anche oggi, se ci sono tanti deboli e ammalati nella comunità cristiana è perché non ci nutriamo, o ci nutriamo male, del corpo di Cristo. Sono molti quelli che si lamentano dicendo che certi precetti di Cristo - amare i nemici, essere casti, ecc. - sono difficili, anzi impossibili all'uomo. Hanno ragione: lo sono; ma Cristo ci ha dato il modo di renderli possibili e facili: la sua carne, la sua vita. Di essa ci nutriremo oggi con gioia, rendendo grazie a Dio che ci sazia davvero « con fiore di frumento ».
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Giovanni Paolo II
"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù
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Parole di Gesù Divina Misericordia a Santa Faustina Kowalska
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Mentre di seguito, durante i vespri, continuavo ad esaminare questa specie di miscuglio di sofferenze e di grazie, ad un tratto udii la voce della Madonna: “Sappi, figlia Mia, che sebbene Io sia stata innalzata alla dignità di Madre di Dio, sette spade dolorose mi hanno trafitto il cuore. Non far nulla a tua difesa; sopporta tutto con umiltà. Dio stesso prenderà le tue difese”.
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