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Data inserimento: 23/04/2005 VOLGITI A NOI, SIGNORE, IN TE SPERIAMO (V DOMENICA DI PASQUA A)
Vangelo (Gv 14, 1-12) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “ Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”. Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
Non si vede facilmente un filo unitario fra le letture bibliche, tutte stupende e ricche di contenuto teologico, di questa Domenica, salvo lo sfondo pasquale, evidente nel brano evangelico e in parte rintracciabile anche nella seconda lettura. Quando, infatti, san Pietro parla di Cristo «pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1 Pt 2,4; cf v. 7), è soprattutto al mistero della sua morte e risurrezione che egli intende riferirsi: mentre gli uomini lo hanno «rigettato», Dio ha gradito il suo servizio e lo ha glorificato al cospetto del mondo risuscitandolo dai morti. Lo sfondo pasquale, invece, è trasparente nel Vangelo per un doppio motivo: primo, perché il brano fa parte dei cosiddetti «discorsi d'addio» (13,31 38; cc. 14 17), che Giovanni ha inserito fra la Cena e la Passione del Signore; secondo, perché proprio nel brano odierno Gesù parla della sua «andata» al Padre e del suo «ritorno» presso i discepoli per «prenderli con sè», per celebrare con loro la Pasqua eterna nei cieli. Per questo motivo egli può anche presentarsi come la «via», attraverso la quale soltanto ormai si può andare a Dio: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (14,6). Tutto il capitolo 14 di Giovanni costituisce un brano unitario, in cui l'accento è posto sul tema della «consolazione». Esso, infatti, si apre e si chiude con espressioni quasi identiche, che invitano alla gioia e alla serenità, nonostante la tristezza del momento: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me... Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amate, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me» (14,1.27 28). I versetti, proposti alla nostra considerazione nella Liturgia odierna, contengono l'inizio del discorso, che si svolge a forma di dialogo, con l'intervento prima di Tommaso (v. 5) e poi di Filippo (v. 8), i quali con la loro difficoltà a comprendere inducono il Maestro a fare dichiarazioni sempre più impegnative, addirittura sconcertanti, sul «mistero» della sua persona. La morte, alla quale ormai il Maestro si avvia, «rivela» più di qualsiasi altro gesto o ammaestramento la sua vera identità: senza gli eventi pasquali Gesù sarebbe stato un enigma indecifrabile per tutti noi! Dopo l'annuncio del tradimento di Giuda, con l'evidente riferimento alla propria morte, si capisce come i discepoli fossero piombati in uno stato di disorientamento e di amarezza indicibili. Quello che li prostrava di più non era tanto e solo il distacco violento dall'Uomo che essi avevano imparato ad amare più di se stessi, quanto il fatto che questo metteva in crisi tutta la loro fiducia e la loro speranza. Ecco perché Gesù, con una finezza psicologica straordinaria, si sforza di rendere fiducia e serenità ai suoi Apostoli. Più che di se stesso, in questi discorsi si preoccupa di loro, esponendo i motivi per cui non devono venir meno nella loro fede: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve lo avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo ove io vado, voi conoscerete la via» (14,14). Al «turbamento» del cuore, inevitabile e fatale, soprattutto nei momenti più drammatici dell'esistenza umana, Gesù contrappone la «fede» in Dio e in lui stesso (v. 1). Si noti quel doppio imperativo («abbiate fede»: v. 1), che mette sullo stesso livello il Padre e il Figlio. Tutto questo però è detto, più che per rivendicare una particolare dignità a Cristo, per dare un motivo di più intensa fiducia ai suoi discepoli: la potenza e l'amore del Padre e del Figlio sono a loro disposizione! Ma oltre a questo, un secondo motivo di consolazione Gesù offre ai discepoli quando dice loro che «nella casa del Padre mio vi sono molti posti», e che egli va precisamente a «preparare» loro «un posto» per poi venire a «prenderli con sé», allo scopo di stare sempre insieme (vv. 2 3). Di quale «ritorno» parla qui Gesù? Certo, la «parusia» è il grande «ritorno» del Signore: ma poteva bastare questo evento, probabilmente molto lontano o, comunque, del tutto sconosciuto, a rendere fiducia agli Apostoli? Sembra perciò che si debba pensare a qualche cosa di più immediato come, ad esempio, le «apparizioni» del Risorto, intese però co¬me segno della più intima «unione» a Cristo, che non ha bisogno di attendere l'ultimo giorno per realizzarsi. «Queste apparizioni, che si verificheranno dopo la risurrezione e anche in seguito (14,18 24; 16,16), hanno una portata ben diversa da quella di un fenomeno passeggero; esse comportano la certezza della presenza permanente del Cristo. Così resta viva l'attesa del giudizio finale anche quando non si attende più la parusia come un fatto imminente. L'attenzione si è spostata dall'avvenimento del ritorno trionfale alla realtà intima dell'unione col Cristo, dal giudizio collettivo al destino personale di ogni cristiano. E dunque logico vedere nel ritorno del Signore in Gv 14,3 una allusione sia alla risurrezione (Gv 20,19.24.26; 21,13), come garanzia della presenza del Signore in mezzo alla comunità (Gv 14,18.23; 16,16), sia alla riunione dei discepoli col Signore pienamente realizzata alla morte di ciascuno di essi». Gli Apostoli però non comprendono il senso delle parole di Gesù, per la loro tendenza a materializzare ogni sua affermazione. Così, ad esempio, per essi la «via» (v. 4) è automaticamente uno spazio materiale su cui muoversi per arrivare a una certa meta; non sospettano minimamente che possa essere Gesù stesso! Di qui la domanda di Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?» (v. 5). Ma ecco la sorprendente risposta del Maestro: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (vv. 6 7). Siamo davanti a una delle affermazioni cristologiche più dense del Vangelo di Giovanni: Tommaso cercava qualcosa di diverso da Cristo per arrivare al Padre, e Gesù lo rimanda a se stesso. E lui il «crocevia» per arrivare a Dio: e lo è perché è una stessa cosa con il Padre, come dirà tra poco a Filippo: 4o sono nel Padre e il Padre è in me, se non altro, credetelo per le opere stesse» (v. 11). Come risulta da tutto il contesto, anche se Gesù si presenta come «verità e vita», l'accento è piuttosto sull'idea di «via»: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (v. 6). La «vita» e la «verità», perciò, non sono tanto la meta a cui Gesù conduce (la meta è il Padre!), quanto la ragione per cui egli può proclamarsi «la via». In altre parole, egli è la «via» perché è «la verità e la vita». «Rimanendo presso il Padre, egli è la verità e la vita; rivestendosi della carne umana, è diventato via. Non ti si dice: datti da fare per cercare la strada onde tu possa pervenire alla verità e alla vita. Non è questo che ti si dice. Levati in piedi, o pigro! La via stessa viene fino a te... Sorgi e cammina» . In ogni modo, è estremamente importante questo stretto rapporto fra «via» e «verità», perché ci aiuta a comprendere il realismo che san Giovanni riesce a dare anche a quelli che sembrano i concetti più astratti. E evidente, infatti, che nella prospettiva giovannea la «verità» è diversa dalla concezione greca, per la quale è l'essenza dell'essere che si svela, come pure è diversa dalla concezione del dualismo ellenistico gnostico, per la quale essa è la realtà del divino che si raggiunge fuggendo dalla nostra storia. Per il quarto Evangelista, invece, «La verità è il dono della rivelazione portata dal Cristo e non un'entità metafisica del mondo di lassù; essa non è identificata a Dio, ma al Cristo e allo Spirito, i quali esercitano la loro azione quaggiù, sul piano della storia, e trasmettono la rivelazione; da allora in poi il movimento della verità è discendente: e cioè quello della rivelazione che ci è comunicata in Gesù ed è interiorizzata mediante l'azione dello Spirito». Proprio per questo l'uomo non può conquistare la «verità» mediante un mero sforzo razionale, e neppure attraverso un martoriante sforzo ascetico: esso può ottenerla soltanto attraverso l'umiltà della fede, lasciandosi condurre da quella via «vivente» (cf Eb 10,20) che è Cristo, venutoci incontro nel mistero della Incarnazione e con il dono del suo Spirito. Tutto questo però è troppo grande perché i discepoli lo accettino senza difficoltà. Infatti Filippo, nonostante le parole di Gesù (cf v. 7), pensa che Dio debba cercarsi altrove, magari in qualche manifestazione clamorosa, e perciò gli chiede: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (v. 8). Questo porge a Gesù l'occasione di fare affermazioni anche più strabilianti: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi chiedermi: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico non le dico da me, ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me, se non altro, credetelo per le opere stesse» (vv. 9 11). Gesù si meraviglia che i suoi Apostoli non lo abbiano riconosciuto ancora come l'inviato del Padre, «una cosa sola» con lui (10,30; 17,1 L21 22). Eppure ci sono i «segni» palesi di questa sua identità con Dio: le sue «parole» e, più ancora, le sue stesse «opere». Però per vedere tutto questo non bastano gli occhi della carne, ci vogliono gli occhi della fede: perciò insiste ancora sul tema del «credere» (vv. 10 11 ). E il credere è rischioso, e può essere messo in crisi ad ogni momento, come accadrà tra poco agli Apostoli nella storia della Passione. Proprio per questo era necessario che Gesù si facesse «via», venendoci incontro per condurci al Padre! La seconda lettura (1 Pt 2,4 9) ci presenta Cristo sotto un'altra immagine: quella della «pietra» che, pur essendo stata scartata dagli uomini, è stata fatta da Dio «pietra angolare», su cui devono «costruirsi» i cristiani, momento per momento, per portare a termine quel grande «edificio spirituale» che è la Chiesa. Di questo testo così ricco non possiamo qui dire che poche cose, e sempre in chiave pasquale. La «pasqualità» poi non è solo quella di Cristo, ma soprattutto la nostra, che del resto ci deriva dall'essere inseriti e «sovracostruiti» in lui, «pietra viva rigettata dagli uomini». Di qui l'insistenza sulla consacrazione «sacerdotale» di ogni battezzato, in ordine alla offerta di «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (v. 5). E una grande dignità quella che i cristiani hanno sia come singoli battezzati, sia come comunità («nazione santa, popolo di Dio»); ma per essere vissuta coerentemente abbisogna di grande forza d'animo, di grande spirito di sacrificio. Sono precisamente questi i «sacrifici spirituali» che Dio chiede praticamente a ciascuno di noi. Anche il «servizio» ai fratelli che hanno bisogno del nostro aiuto, come ci ricorda l'episodio della istituzione dei «sette», diaconi, narratoci nella prima lettura (At 6,1 7), fa parte di questo «sacerdozio regale» con cui siamo stati consacrati nel nostro Battesimo. Non dovremmo mai dimenticarlo, noi cristiani!
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Giovanni Paolo II
"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù
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Parole di Gesù Divina Misericordia a Santa Faustina Kowalska
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...le cose esterne non influiscono sulle sofferenze dello spirito e non procurano molto sollievo. Nel confessionale attinsi forza e consolazione venendo a sapere che ormai non avrei atteso a lungo per intraprendere l'azione. Giovedì, quando andai nella cella, vidi sopra di me un'Ostia sacra in una grande luce. All'improvviso udii una voce, che mi sembrava uscisse da sopra l'Ostia: “ In Essa sta la tua forza: Essa ti difenderà “. Dopo queste parole la visione scomparve, ma una forza misteriosa entrò nella mia anima ed una strana luce mi fece conoscere in che consiste il nostro amore verso Dio, e cioè nel fare la Sua volontà.
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