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Data inserimento: 13/03/2005 DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE
Vangelo (Mt 26, 14 - 27, 66) In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? “. E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”. Ed egli rispose: “Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l'hai detto”. Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: “Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”. E Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. Gli disse Gesù: “In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli. Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina”. Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve, Rabbì!”. E lo baciò. E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?”. In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono. Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale gia si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione. I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: “Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. E quelli risposero: “E` reo di morte!”. Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?”. Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: “Anche tu eri con Gesù, il Galileo!”. Ed egli negò davanti a tutti: “Non capisco che cosa tu voglia dire”. Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: “Costui era con Gesù, il Nazareno”. Ma egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell'uomo”. Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: “Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!”. Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell'uomo!”. E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: “Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E uscito all'aperto, pianse amaramente. Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: “Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue”. E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue” fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose “Tu lo dici”. E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose attestano contro di te?”. Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore. Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua”. Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?”. Quelli risposero: “Barabba!”. Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?”. Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”. Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!”. Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”. E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: “Questi è Gesù, il re dei Giudei”. Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E` il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo. La morte di Gesù. Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”. C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo. Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E` risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. Pilato disse loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”. Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.
Con la presente Domenica inauguriamo la Settimana Santa, quella che nella tradizione della Chiesa si è soliti chiamare la «grande Settimana». «Ma perché la chiamiamo grande?», si chiedeva già san Giovanni Crisostomo. «Perché in essa si sono verificati per noi alcuni beni grandi e ineffabili. In essa infatti si è conclusa la lunga guerra, estinta la morte, cancellata la maledizione, soppressa la schiavitù del demonio e strappata a lui la sua preda; Dio si è riconciliato con gli uomini, il cielo si è fatto penetrabile, gli uomini con gli angeli si sono uniti, le cose che erano distanti sono state congiunte, la siepe è stata tolta, la barriera rimossa, il Dio della pace ha reso pacifica ogni cosa, sia in cielo che in terra». Proprio per questi «beni grandi e ineffabili» che in essa si sono verificati, è giusto inaugurarla con una scena di «trionfo», quale è la benedizione delle «palme» e la processione in onore di Cristo Re, che fa il suo ingresso in Gerusalemme: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli» (Mt 21,9). Il trionfo, però, è già motivo di lotta e di resistenza accanita contro Gesù da parte di alcuni, e si muterà ben presto in spietata congiura per sopprimerlo anche fisicamente. E’ la storia di questo «dramma» della perversità umana, della volubilità degli spiriti, della violenza gratuita contro l'unico «innocente» che sia mai apparso sulla faccia della terra, che la Liturgia odierna preferisce mettere in evidenza. Del resto, proprio di mezzo a questo dramma della follia collettiva emerge sovrana la figura del Cristo, che celebra così il suo vero «trionfo»: la «palma» della vittoria Cristo l'ha colta sull'albero della croce! Ecco perché tutte e tre le letture della Messa sono orientate alla commossa e adorante rievocazione della Passione del Signore. La prima lettura ci riporta solo una parte del terzo carme del «Servo di jahvè» che, pur in mezzo alla più avvilente umiliazione, esprime la sua incrollabile fiducia in Dio (Is 50,6 7). Segue poi il sublime e inesauribile «inno cristologico» di san Paolo nella Lettera ai Filippesi: in poche ma densissime espressioni egli ci descrive l'arco dell'abissale «annientamento» del Cristo."Pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio, / ma spogliò se stesso, / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini; / apparso informa umana, / umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte / e alla morte di croce» (Fil 2,6 8). Prima e più ancora che di umiliazione, infatti, l'Apostolo parla di «svuotamento», di «spogliamento» del divino che preesisteva nel Cristo. La «morte di croce», accettata in spirito di «obbedienza» al Padre, rappresenta l'ultimo gradino di questo volontario «sprofondare» del Cristo nella più mortificante insignificanza umana. La prospettiva di Paolo non si chiude, però, su questo abisso dell'annientamento di Cristo: egli fa intravedere anche la fase della sua esaltazione a «Signore» della gloria mediante il prodigio della risurrezione (vv. 9 11). Ciò che Paolo ci dice in termini e in immagini altamente teologizzati, san Matteo ce lo descrive in chiave storica nel suo racconto della Passione, ancora fremente di commozione e di sofferta partecipazione. E la storia, che l'Evangelista ci rievoca nei suoi momenti più drammatici, non è meno eloquente dell'ardita riflessione teologica di Paolo! Tanto più che, come tutti ben sappiamo, gli Evangelisti non hanno inteso fornirci una nuda cronaca dei fatti, ma un annuncio di fede, per aiutarci a penetrarne le dimensioni e la capacità di «inveramento» e di assimilazione da parte dei cristiani di tutti i tempi. E’ proprio per questo aspetto vitale, o «attualizzante», della storia della Passione, che gli Evangelisti, pur essendo sostanzialmente convergenti, introducono alcune varianti narrative, sottolineano di preferenza alcuni particolari, interpretano secondo certe precise finalità passi dell'Antico Testamento, mettono in bocca a Gesù affermazioni che gli altri hanno lasciato cadere. Tutto questo non diminuisce per niente il valore storico dei fatti, ma se mai lo dilata e ce ne fa vedere lo spessore più profondo. Vorremmo commentare, per rapidi tratti, il racconto della storia della Passione secondo san Matteo, cercando di metterne in luce alcuni aspetti «caratteristici», che lo differenziano dagli altri Evangelisti. E prima di tutto mi sembra che domini il quadro la sovrana «libertà» con cui Cristo affronta la morte: non è lui che è travolto dai fatti, quasi fossero una fatalità a cui non riesce a sottrarsi ,ma è lui che domina gli eventi. Se volesse, potrebbe anche sottrarvisi! E quanto dice in tono di rimprovero a Pietro (cf Gv 18, 10) che, per difendere Gesù, aveva tratto la spada, colpendo un servo del sommo sacerdote e staccandogli l'orecchio: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?» (26,52 54). Ciò che è determinante per lui è dunque la «volontà» del Padre, espressa nel messaggio delle Scritture: per questo si consegna volontariamente nelle mani dei nemici. Anche nella prolungata preghiera dell'Orto si affida completamente alla volontà di Dio: «Padre mio, se è possibile passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (26,39.42). E quando ritorna per la terza volta dai suoi Apostoli, che nel frattempo si sono di nuovo addormentati, dirà, con una punta di amara ironia, che ormai possono anche continuare a dormire: infatti, «è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori... Ecco, colui che mi tradisce si avvicina» (26,45 46). Gli studiosi sottolineano a ragione una sorprendente analogia di Matteo col quarto Vangelo, in cui tutta la vita del Cristo è come scandita da un'«ora» misteriosa, che Dio fa scoccare quando a lui piace. E’ «l'ora» della Passione, attraverso la quale Gesù renderà gloria al Padre: «Padre, è venuta l'ora; glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17, 1). In questa linea si comprende anche meglio il costante riferirsi alle Scritture, che sappiamo essere tipico di san Matteo e che qui riappare anche più puntualmente: «Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito ... » (26,24); «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto, infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge ... » (26,30; cf Zc 13,7). A quelli che vanno ad arrestarlo rimprovererà di essere venuti da lui con spade e bastoni come si va contro un brigante: «Ogni giorno stavo seduto nel Tempio ad insegnare, e non mi avere arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei Profeti» (26,55 56).Anche nell'acquisto, fatto dai capi dei sacerdoti, del «campo del vasaio» con le trenta monete di argento, gettate da Giuda nel tempio in un momento di disperazione, Matteo vedrà l'avveramento di una profezia biblica (2 7,3 10), che egli ricostruisce piuttosto liberamente combinando un testo di Geremia (32,6 15) con un altro di Zaccaria (11,12 13). Abbiamo portato solo alcuni esempi, che potrebbero facilmente essere moltiplicati. Tutto questo dimostra, come abbiamo già accennato, che Gesù non è travolto dai fatti, ma li domina con piena libertà: è il disegno del Padre che egli esegue in piena «obbedienza» (cf Fil 2,8), come espressione del suo amore verso Dio e verso gli uomini. L'amore è commisurabile al grado di disponibilità e di gratuità con cui si esprime: chi, pur potendo non morire, muore per l'amico, è segno che è mosso soltanto dall'amore. Tutta la storia della Passione, perciò, è messa da san Matteo sotto il segno della libertà e dell'amore. Un altro aspetto caratteristico del racconto di san Matteo, intimamente collegato con quello precedente, è la dichiarata «innocenza» di Gesù, nonostante tutti i tentativi per farlo apparire come «reo di morte» (26,66). Oltre che da tutto il racconto, questo appare da due episodi riferitici dal solo Matteo. Il primo è quello del sogno della moglie di Pilato, che tenta di mettere in guardia il marito dal compiere qualcosa di male contro Gesù: «Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua"» (2 7,19). Il secondo è il gesto di Pilato che si lava le mani pubblicamente, per dissociarsi dal delitto che i capi dei Giudei e la folla reclamavano' che egli legalizzasse: «Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, prese dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!". E tutto il popolo rispose: il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli"» (27,24 25). Con queste parole il dramma si consuma in maniera definitiva. E non solo perché Cristo ormai viene condannato a morte dall'autorità romana, ma anche perché il popolo di Gerusalemme dichiara di addossarsi tutta la responsabilità dell'uccisione di Gesù: Israele rivela così il suo vero volto di popolo «infedele», che mette in croce il proprio re e Messia. Il delitto che egli compie, reclamando la crocifissione di un innocente, ricadrà sopra di lui in forma inesorabile, che non Dio ma esso stesso pronuncia. Dissociando la sua sorte da Cristo, egli rifiuta in un certo senso di essere il popolo di Dio: gli subentrerà la Chiesa, ovviamente aperta anche ai Giudei e senza rinnegarli, come comunità messianica escatologica, che proprio nel Cristo crocifisso riconoscerà il Figlio stesso di Dio. Non è perciò un caso che siano proprio dei «pagani» a emettere la prima confessione di fede ai piedi della croce: «Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era il Figlio di Dio! "» (2 7,5 4). Nel momento stesso, però, in cui emerge sovrana la innocenza di Cristo, si profila anche in maniera paradossale la colpevolezza degli uomini. Si pensi solo a Pilato che, in fin dei conti, è il più onesto fra tutti i sínistri protagonisti di questa tregenda della falsità e della abiezione morale: mentre proclama Gesù innocente, lo condanna a morte i La «giustizia» diventa nelle sue mani uno strumento per mantenere il potere, anche se deve tramutarla in somma «ingiustizia». 1 sacerdoti e i farisei, che avevano il compito di custodire la Legge, la violano anche proceduralmen¬te, oltre che nella sostanza; si rifiutano di riconoscere Dio, a cui pur dichiarano di voler essere fedeli, in Cristo. In nome di Dio, condannano l'inviato di Dio. Non si salvano neppure i discepoli. Giuda lo «vende» per trenta denari; Pietro non ha il coraggio di confessarlo in pubblico, pur avendo dichiarato con tanta sicurezza: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai» (26,33). «Tutti» gli altri, poi, al momento dell'arresto, «abbandonatolo, fuggirono» (26,56). Nella storia della Passione, perciò, non si descrive soltanto l'iniquo «giudizio» su Cristo, ma anche e soprattutto il «giudizio» di Dio sugli uomini. Nella prospettiva degli Evangelisti le parti si rovesciano: il «processo a Gesù» diventa il «processo agli uomini»' e ai cristiani, che continuano a tradire Cristo oggi come allora. Perciò quella storia ci interpella direttamente. I protagonisti di quel dramma stanno ancora tutti sul palcoscenico, perché siamo precisamente noi col nostro nome e cognome.
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Giovanni Paolo II
"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù
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Parole di Gesù Divina Misericordia a Santa Faustina Kowalska
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Mentre di seguito, durante i vespri, continuavo ad esaminare questa specie di miscuglio di sofferenze e di grazie, ad un tratto udii la voce della Madonna: “Sappi, figlia Mia, che sebbene Io sia stata innalzata alla dignità di Madre di Dio, sette spade dolorose mi hanno trafitto il cuore. Non far nulla a tua difesa; sopporta tutto con umiltà. Dio stesso prenderà le tue difese”.
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