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Data inserimento: 23/02/2005 IL PELLEGRINO STANCO SEDUTO AL POZZO (III DOMENICA QUARESIMA)
Vangelo (Gv 4, 5-42) In quel tempo, Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”. In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri?”, o: “Perché parli con lei?”. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano l'un l'altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che gia biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
«La terza domenica di Quaresima ci fa bivaccare a Refidim e anche presso il pozzo di Giacobbe, dove il Signore medesimo ci attende, assetato della nostra sete». Un bivacco salutare, in cui la sete che brucia e fa gridare la protesta (Massa = prova; Meriba = protesta, la lettura) diventa cammino, ricerca e incontro con Gesù Cristo, (l’acqua viva» (vangelo). La liturgia odierna è orientata al rito dell'acqua nella veglia pasquale, che precede il rinnovo delle promesse battesimali ci si prepara al bagno ricreatore dello Spirito, riversato nei nostri cuori (2 lettura). La «colletta» della messa odierna descrive bene, in forma di preghiera, la traiettoria tematica delle tre letture: «0 Dio, sorgente della vita, tu offri all'umanità riarsa dalla sete l'acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo Salvatore (la lettura e vangelo); concedi al tuo popolo il dono dello Spirito (2 a lettura), perché sappia professare con forza la sua fede, e annunci con gioia le meraviglie del tuo amore». Israele levò le tende dal deserto di Sin « e si accam¬pò a Refidim» (Es 17,1), «ma non c'era acqua da bere per il popolo», e « il popolo protestò contro Mosè» (v. 2). L'innocuo nome «Refidim» di quella località desertica venne così ribattezzato in «Meribàh» = protesta e «Massàh» = prova, perché il popolo aveva colà gridato il suo dubbio: « Il Signore è in mezzo a noi si o no?» (v. 7). Si tratta di un grido che spezza sovente il silenzio del deserto, e non solo quello d'Israele. Tutti, cristiani e non, credenti e non, camminiamo in un deserto quaresimale, non di rado esposti alla sete dell'insicurezza, addirittura alla sete mortale: «Perché ci hai fatti uscire dall'Egitto, per far morire noi e i nostri figli?» (v. 3).E’ la sete della sofferenza di un innocente, la sete della malattia, la sete del toedium vitae»; è la sete del nonsenso, la sete della faticosa vecchiaia pesante per sé e per gli altri, umanamente inutile; è la sete del dubbio e della prova, la sete senza ritorno provocata dalla morte di un congiunto, di un amico, dalla propria morte. Nel mondo dell'antico Vicino Oriente l'acqua giocava, e gioca ancora, un ruolo immenso, come simbolo di purificazione e soprattutto come simbolo positivo della vita e della fecondità. La mancanza di acqua di pioggia o di sorgente provoca la siccità e la sterilità della terra, e trascina per l'uomo e per gli animali la sete e la carestia; è il deserto. Invece la presenza di acqua arricchisce di oasi il deserto, e cancella l'arsura degli uomini che possono riprendere il loro cammino. Per comprendere Es 17 ma anche il brano evangelico noi lettori odierni e occidentali sommersi come siamo da un proluvio di acqua e di bevande dovremmo riappropriarci di quel simbolo primario che è l'acqua! L'acqua è la vita, è il senso della vita, e come tale è dono di Dio. La «protesta» degli Israeliti (v. 7) nel deserto di Refidìm è rivolta contro Mosè, l'inviato di Dio, anzi è diretta contro Dio. Mosè stesso non può fare altro che ributtare su Dio il grido del popolo (v. 4). E, paradossalmente, è tutto così logico! Chi, se non Dio, può far scaturire l'acqua nel deserto, la speranza dall'angoscia, la pace dalla divisione, la vita dalla morte? Dio aveva donato a Mosè il bastone con cui aveva percosso il Nilo (cf. Es 7,19); ora, Dio gli comanda di percuotere con lo stesso bastone l'arida roccia del deserto (v. 6): Mosè percuote la roccia, l'acqua sgorga e il popolo si disseta. Il profeta Geremia aveva compreso bene chi è Dio per Israele, per ogni uomo, quando lo aveva chiamato «fonte d'acqua viva» (Ger 2,13). E i midrashim rabbinici avevano fatto di quella «sorgente dalla roccia» una sorgente che si spostava con le tende d'Israele pellegrino nel deserto: «Essa saliva con loro sulle montagne, scendeva con loro nelle valli; dove Israele soggiornava, soggiornava anch'essa di fronte alla tenda del convegno». Volevano dire i rabbini che Dio, «sorgente di acqua viva dalla roccia», accompagnava ogni giorno il popolo e gli donava la vita. E l'apostolo Paolo ha dato la prima lettura cristiana di Es 17 quando ha visto nella roccia del deserto, da cui il bastone di Dio aveva fatto sgorgare acqua viva, un'immagine di Gesù Cristo: «Tutti bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (1Cor 10,4). Il Cristo di Paolo «roccia spirituale che accompagnava Israele nel deserto e lo dissetava), (]Cor 10,4) , diventa in Gv 4 l'uomo Gesù assetato e stanco, il pellegrino seduto presso il pozzo di Giacobbe, che, mentre chiede da bere ad una donna samaritana, le si offre come l'unico in grado di donare a lei e a tutti gli umani l'acqua viva che zampilla in vita eterna. L'inconfondibile arte narrativa di Giovanni con tutti i suoi tipici accorgimenti letterari (ironia, frain¬tendimento, simbolismo, ecc.) trova nella pagina della samaritana un riscontro particolarmente felice. Qui dobbiamo per forza limitarci al dialogo di Gesù con la samaritana (vv. 5 26), con il tema centrale di Cristo «acqua viva» (in connessione con la 1a lettura). Dell'intera pagina giovannea suggeriamo soltanto la struttura drammatica che la sorregge e la anima. Un breve «preludio» (vv. 4 6) introduce la «prima scena», cioè il dialogo di Gesù con la samaritana, culminante nella rivelazione di Gesù come Messia (vv. 7 26). Un «interludio» sul ritorno dei discepoli e la corsa della donna al villaggio (vv. 27 30), introduce alla «seconda scena», cioè al dialogo di Gesù con i discepoli sulla mietitura messianica già in atto (vv. 31 38). Si giunge così all'epilogo» (vv. 39 42) con la fiumana di samaritani trascinati dalla donna, i quali invitano Gesù a rimanere loro ospite, lo ascoltano, credono in lui e lo proclamano i(il Salvatore del mondo» (v. 42). Dire «samaritano» per un giudeo del tempo di Gesù equivaleva a dire scismatico, eretico, scomunicato. Tanto è vero che i giudei non trovarono contro lo stesso Gesù insulto peggiore di quello che leggiamo in Gv 8,48: «Sei un samaritano e un folle». Ebbene Gesù, con il solo gesto di uno che chiede un sorso d'acqua fresca ad una donna samaritana, non soltanto pone fine al proverbiale dissidio tra giudei e samaritani, ma infrange il cerchio infernale di tutte le apartheid. L'umana, elementare solidarietà unisce le persone al di sopra delle culture e delle confessioni religiose; e il chiedere aiuto ad un estraneo è la via migliore per disporlo a ricevere, oltre che a donare. Se la samaritana avesse saputo chi era quel giudeo che le ha chiesto da bere, i ruoli si sarebbero invertiti: sarebbe stata lei a chiedere acqua, e Gesù ad offrirgliela (v. 10). Quel giudeo che, nel bisogno, chiedeva da bere, è l'unico che può donare quell'acqua viva che veramente soddisfa il più radicale bisogno di ogni persona, assetata del senso della vita, desiderosa di una vita che non muore. La samaritana, come già Nicodemo (Gv 3,4ss.), fraintende le parole di Gesù recependole sulla propria lunghezza d'onda esclusivamente terrena e materiale (vv. 11 12). Ma Gesù insiste con il comunicare sulla propria lunghezza e immerge scopertamente la donna nella verità. E' lui, in persona, l'acqua viva, perché egli è la Parola di Dio fatta carne, è la definitiva e compiuta Rivelazione di Dio, che rischiara all'uomo il senso della vita e gli dona la vita (vv. 13 14a). Anzi, a fronte dell'acqua stagnante del «pozzo» di Giacobbe al quale la donna è venuta ad attingere, Gesù offre ad ogni credente in lui una «sorgente» interiore, dalla quale può sgorgare perennemente «un'acqua che zampilla a vita eterna» (v. 14b). L'incontro di fede con la parola di Dio, che è Gesù, fa passare ogni uomo dalla «crisi del senso» alla «invocazione del senso», alla sua ricerca, alla sua scoperta. Solo allora la sete dell'uomo viene placata, l'esistenza acquista senso e valore per sé e per gli altri; e la vita è già proiettata verso l'altra sponda, quella della vita eterna, della vita di Dio. La samaritana, scoperta da Gesù nella sua situazione a dir poco illegale e infamante (dopo aver avuto cinque mariti, ora convive con un amante, vv. 16 18), lo professa «un profeta» (v. 19), ma cerca subito di sviare il discorso sul terreno per lei meno compromettente della disputa teologica tra giudei e samaritani sul tempio dell'adorazione: Gerusalemme o il monte Garizim (vv. 29 30). Gesù ristabilisce la verità storica che (da salvezza viene dai giudei» (v. 22) e non dai samaritani, i quali riconoscono soltanto la torah (la Legge) e non sono i veri depositari delle promesse messianiche. Tuttavia, d'ora in poi l'appuntamento decisivo per tutti, giudei e samaritani (v. 21), è con Gesù Cristo «sorgente d'acqua viva», e con «adorazione del Padre in spirito e verità» (v. 24), che egli è venuto come Messia ad inaugurare, in alternativa al culto a Gerusalemme e sul monte Garizim (v. 23). Tale adorazione è molto di più di un culto interiore e coerente, che già i profeti avevano predicato e difeso. Poiché «spirito», nel linguaggio giovanneo, è «lo Spirito di Dio», è la potenza divina di rinnovamento che irrompe nell'uomo e lo rigenera attraverso la fede e il battesimo (cf. Gv 3,3 8) e lo fa diventare figlio di Dio. E «verità» (cf. Gv 1,17b) significa la definitiva rivelazione» che si è fatta carne umana e storia umana in Gesù Cristo. Pertanto l'adorazione di Dio (in spirito e verità» è l'adorazione dei credenti in Gesù Cristo che, mediante la fede e il battesimo, sono rigenerati «dall'alto, cioè dallo Spirito» (Gv 3,7 8), e dal medesimo Spirito vengono interiormente illuminati e condotti alla comprensione della verità rivelazione (cf. Gv 14,25 26; 16,12 15) e all'attuazione nella vita della rivelazione (cf. il «far la Verità» di Gv 3,21). Non si sa quanto la samaritana abbia capito delle parole di Gesù. Sicuramente non ha colto l'urgenza dell'ora messianica e vorrebbe rinviare tutto al futuro: « So che deve venire il Messia: quando egli verrà» (v. 25). Invece per essa, e ancor più per noi, l'ora messianica è già scoccata. L'intero dialogo di Gesù, iniziato con quel «Se tu sapessi chi è colui che ti parla» (v. 10), culmina in questa asserzione assoluta: «Sono io che ti parlo, il Messia» (v. 26), che avanza l'assoluto diritto alla fede. Vale per tutti il prendere o lasciare, credere o rifiutare la fede. «Tertium non datur!». «Giustificati per la fede» (2 a lettura, v. 1): è l'assunto iniziale di Paolo, anzi il tema centrale di tutta la lettera ai Romani. Per s. Paolo, «è la fede che giustifica». Il vangelo odierno esprime la stessa verità quando afferma che è proprio la fede in Gesù Cristo come rivelatore e salvatore, quella che conduce a lui come «acqua viva» e che scava nel cuore del credente «una sorgente che zampilla in vita eterna» (v. 14). Ma una tale giustificazione del credente è un even¬to prodigioso di Dio, compiuto «dall'amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (v. 5b). L'«essere in pace con Dio» conseguenza della giustificazione (v. 1), proprio perché è un miracolo dello Spirito Santo, non si esaurisce in sentimenti di pace interiore, ma si fonda su un rapporto oggettivo che impronta di sé il senso della vita del giusto, ormai ancorata all'amore di Dio. In Cristo, Dio ha preso partito con noi, e con noi, non e più inaccessibile nella sua grazia-vita (v. 2). Alla giustificazione e alla riconciliazione, Paolo collega le tre virtù fondamentali dell'esperienza cristiana. Esse accompagnano il credente e ne illuminano il cammino. Protetti dall'amore di Dio che si è espresso nella morte di Cristo per tutti noi peccatori (vv. 6 8), non temiamo più il futuro: l'ira di Dio non ci potrà più sorprendere. La fede ci procura la pace; e la speranza di ottenere la gloria di Dio è saldamente ancorata all'amore, che Dio ha per noi e che ha riversato abbondantemente nei nostri cuori come qualcosa di concreto e di sperimentabile nella nostra vita.
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Giovanni Paolo II
"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù
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Parole di Gesù Divina Misericordia a Santa Faustina Kowalska
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Non aver paura di nulla, Io sono con te; queste questioni sono nelle Mie mani e Io le realizzerò secondo la Mia Misericordia, e niente si può opporre alla Mia volontà.
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