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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI  

Data inserimento: 02/11/2008
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI 2 NOVEMBRE 2008


Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV. (Mess. Rom.)
Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.

A quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell’Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all’iniziativa dell’abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l’ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell’Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti.
Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l’esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l’efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l’immagine di un edificio in costruzione.
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Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello di suffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l’ottavario, le preghiere al cimitero. Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi ne avvertiamo un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell’anno un’occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa.
Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero, forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamente certa della vita. Quando sentiamo che qualcuno è malato di idropisia (al tempo del santo, questa era la malattia incurabile), diciamo: "Poveretto, deve morire; è condannato, non c’è rimedio! ". Ma non dovremmo, aggiunge, dire la stessa cosa di ogni uomo che nasce: "Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento, Gustavo Bécquer, paragona la vita umana all’onda che il vento spinge sul mare e che avanza vorticosamente senza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi; a una candela prossima a esaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti, ignorando quale di essi per ultimo brillerà; e conclude: "Così sono io che mi aggiro per il mondo, senza pensare, da dove vengo, né dove i miei passi mi condurranno".

Questa percezione mesta, a volte tragica, della morte è comune a tutti, credenti e non, ma la fede cristiana ha una parola nuova e risolutiva, che oggi dovrebbe risuonare nella Chiesa e nei cuori, una cosa semplice e grandiosa: che la morte c’è, che è il più grande dei nostri problemi, ma che Cristo ha vinto la morte! La morte non è più la stessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto. Essa ha perso il suo pungiglione, come un serpente il cui veleno è capace solo di addormentare la vittima per qualche ora, ma non di ucciderla. "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?" (1Cor 15,55).
Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla. Ai cristiani angustiati per la morte di alcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui... Confortatevi, dunque, a vicenda con queste parole" (1Tes 4,13ss).
Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Non abbiamo davvero un sommo sacerdote che non sappia compatire la nostra paura della morte! Tre volte nei vangeli si legge che Gesù pianse e, di queste, due furono per un morto. Nel Getsemani egli ha provato, come noi, “paura e angoscia” di fronte alla morte.

Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte? L’uomo mortale nascondeva dentro di sé il Verbo di Dio, che non può morire. Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte. Confortiamoci a vicenda, anche noi, con queste parole.


Fonte: www.santiebeati.it


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"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
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Dopo la S. Comunione ho udito queste parole: “ Vedi quello che sei in te stessa, ma non spaventarti per questo; se ti svelassi tutta la miseria che sei, moriresti per lo spavento; sappi tuttavia quello che sei. Proprio perché sei una miseria così grande, ti ho svelato tutto il mare della Mia Misericordia. Cerco e desidero anime come la tua, ma ce ne sono poche. La tua grande fiducia verso di Me mi costringe a concederti continuamente grazie. Hai dei grandi ed inesprimibili diritti sul Mio Cuore, poiché sei una figlia di piena fiducia. Non potresti sopportare l'enormità dell'amore che ho per te, se te lo svelassi qui in terra in tutta la sua pienezza. Spesso sollevo per te un lembo del velo, ma sappi che questo è soltanto una Mia grazia eccezionale. Il Mio amore e la Mia Misericordia non conoscono limiti “.
 


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